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Premessa

La scrittura un pò strana degli articoli che seguono è dovuta alla loro età.

Il Calindri è un testo molto conosciuto, ed è accreditato di maggiore credibilità, in particolare egli si recava di persona sui luoghi di cui parlava. Il Ruggeri invece riportava conoscenze più teoriche.

 

L'immagine qui riportata è l'illustrazione della chiesa di Venola tratta dal libro Chiese della Diocesi di Bologna ritratte e descritte.

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 Serafino Calindri

Dizionario Corografico, Georgico, Orittologico, Storico della Italia

1783

 

VENOLA

Fuori di Porta Saragozza in una cima di monte alla sinistra del Reno 14 miglia dalla Città , e non 20, come con una slungata di penna hà segnato l'autore del Catalogo delle Comunità stampato dal Saffi.

Comune e Arcipretura composta da 282 Anime divise in 51 famiglie, e d'ognintorno confinata dalle parrocchie di Spertica­no, di Malfolle, di Montasico, di Luminasio s della Pieve di Panico. Alli parrocchiani appar­tiene il diritto di nominarne 1'Arciprete, ed il suo Santo titolare è S. Stefano. La sua Chiesa, è decente, ed i suoi Oratori esistenti nel suo territorio sono Santa Lucia del Caricatore, e S. Rocco di Piano di Venola. Molta Uva, moltissi­me Frutta, e rare Pesche, molte Noci e molte Castagne, molta Ghianda, molti Boschi a Le­gna, poco Fieno, non molto pascolo da molte terre a sodo, quantità di Carbone, pochissima Canape, non molta Seta, quattro misure dal Grano, e quattro da molti Marzatelli che vi si seminano, sono i prodotti di questo territorio. Chi proponesse di far divenire un fertile Orto un letto composto da grossi sassi fluviatili, affatto sterile, di un torrente nelle piene impetuoso così, che trascina e forza con le sue corrosioni a lavinarie addosso le pendici de' laterali monti da presso le loro cime al loro piede; direbbesi che esigge gl'averi di un Creso, e le forze di un Sovrano, ed in ultimo che dopo un infinito di­spendio altro non ricaverebbesi tutto al più che una Saliceta, o Pioppeta, od altro consimile co­modo; e se si chiamasse una flotta di Periti a consulto per eseguire un tale progetto, leggereb­bensi perizie esorbitanti capaci a scoraggire il più intrepido e coraggioso: e pure senza tanto dis­pendio, senza tanto apparato, senza trovarvi tan­te difficoltà una industriosa, ed ingegnosa agri­coltura, una indefessa pazienza di seguitare l'in­dole e la natura dell'impetuoso Torrente incoraggì ad intraprendere la esecuzione di un pro­getto all'apparenza così strano, e riuscì piena­mente con poco ed in corto tempo col mezzo di giudiziose colmate in ottenere ottimi pascoli, ed un vasto Orto capace di ogni più squisita sorte di Frutta e di erbe il defunto Notaro e cittadino bolognese Casimiro Nicolò Patrizio Minelli, e con lode lo và attualmente ampliando, e rendendo viepiù ubertoso il vivente suo figlio Giuseppe che buona parte dell'anno se ne stà al Piano di Venola nella sua vicina palazzina, imitando gl'uo­mini della età passata, che men portati alla mol­lezza di molti de' viventi, stavansene badando alla agricoltura e coltivazione de' loro fondi in campagna, sicuri di non degradare le proprie convenienze, e di fare acquisto non meno di mag­giori comodi necessari alla vita, che di una più salda e robusta complessione. Tartufole bianche al di fuori, di color fosco al di dentro, o rosse, e qualche volta ancor nere produce quello cre­toso territorio attraversato da elevati banchi di arena indurita a modo di tufo, ed in talun sito di durissimo scoglio, e da cumuli divisi in irre­golari quasi cubiche masse di scoglio cretoso, tra mezzo al quale van trovandosi gusci di Turbina­ti, di Lumache marine, di Pettinìti, di piccole Telline, e Nuclei di tali maniere di Testacei, qualche volta calcinati; due sorgenti solfuree lun­go il Torrente Venola, non poche ocree rosse, violacee, e verdiccie, ed una miniera di Ferro del genere delle subacquose. Un acqua leggerissima scaturisce da una sorgente nel fito detto il Caricatore, nelle di cui vicinanze naturalmente fiorisconvi Viole mammole odorosissime di color bianco candido, o qualche poco tirante al color rosso-viola. Un Sarto, un Falegname, un Fabbro posson supplire a qualche bisogno umano relati­vo alle loro arti per gli abitanti di questo territorio, nel quale evvi un borghetto cioè Lamaròlo di Famiglie 12.

Non molto distante dalla presente Chiesa parroc­chiale sulla vetta di un monte in un dirupo di scogli cretofi, che, quasi a piombo eretti, for­mano dalla parte di Reno la veduta di una scon­nessa muraglia etrusca, sonovi le rovine di una Torre, o antica Ròcca, che probabilmente do­vea essere l'antico Cartello di Venola, ed una delle molte Ròcche possedute da potenti Conti da Panico. La più antica memoria che abbiamo di quello luogo non và più indietro del 1221, da questa sappiamo che Vènola esisteva, che era un Cartello, e che fù confermato in feudo da Conrado Cancelliere imperiale in Italia per l'Imperatore ad Ugolino da Pànico, chiaro leggendosi nella pergamèna de Conti da Pànico di Padova più volte rammentata trà i luoghi al suddetto U­golino confermati VENOLA, hominibus d ejus curte. Può supporsi, che uno de' discendenti del detto Ugolino fosse quel Conte Tommaso da Pàni­co, che comprò del 1268 nel Comune di Vènola molti beni, per valore di lire 390, alcuni de' quali confinavano con quelli della parrocchiale di S. Stefano (Archivio di San Francesco). Uno de motivi pe' quali si dissipò la famiglia de' Panici fù la replicata sud­divisione de' loro beni e feudi per dare la provista non meno a figli nati da matrimoni legitti­mi, che a naturali, uno de' quali fù secondo il Griffoni decapitato nel 1304 per un ordito tradi­mento contro il Comune di Bologna, ma secon­do l'autore della Cronaca Miscella ciò seguì nel 1305 unitamente a due da Luminasio, e due da Vènola (Rer. Ital. Script. Tom. XVIII. col.135, 1306 avea egli nome Baldino Co. Bastardo da Pànico). Convien credere, che questi Pàni­ci di Vènola non fossero di molto buona legge, poichè nel 1313 nel piano di Vènola e ne con­tigui Flixino di Morsicino da Pànico, e Tozzòne di Pariano da Pànico si posero alla strada ad assal­tare e derubbare alcuni nel ritorno che facean dal mercato di Roveggio, i quali condusser prigio

ni in modenese, e a forza di farli tormenta­re in carcere, gl'obbligarono a ricattarsi con grossa taglia (Lib. Ref. + 20. Giugno 1313. Pag. 204 v.).

Fù nel 1528 questo Comune infeudato unitamente agli altri nominati nella no­ta (272) par. 3, pag. 279; da CLEMENTE VII con titolo di Contea ad Astorre di Alessàndro Vol­ta, al quale non fù dato nel 1522, ne tolto dal suddetto Papa ad esso Astorre nel 1532, come sulla fede del Dolfi rilevata dal passo della sua Cronologia in essa nota citato ivi asserimmo; e tra manoscritti del celebre Instituto può vederse­ne l'estratto del Breve del prelodato Pontefice. Apparteneva quesla Chiesa nel 1366 (e gl'ap­partenne fino al 1646) al plebanato di Pànico, ed era il suo titolare SS. Benedetto e Stefano; ma eretta in Pieve non solo fù smembrata questa da quel plebanato; mà altresì lo furono le Chiese di Montasico, di Vedegbèto, di Monte Pastore con la sua sussidiale di Vignola de' Conti, che compongono presentemente la sua Congregazione. Chi desidera sapere le notizie de' fondi, delle rendite etc. di questa Chiesa, di una Chiesa semplice di S. Antonio in questo Comune eretta, e di un Be­neficio semplice eretto nella parrocchiale li 18 Febbraio del 1693, ricorra alla Raccolta del Casolàri, Tom. 3 dalla pag. 363 alla 368.

 

 

Da: Chiese Parrocchiali della Diocesi di Bologna ritratte e descritte

Tomo terzo

Bologna Litografia di Enrico Corti

Tipografia di San Tommaso D’Aquino

1849

 

SANTO STEFANO DI VENOLA
Posa la villetta di Venola sul dorso di ridente colle, quindici miglia a meriggio da Bologna. È gramo paesello e numera pochi abitanti, ma il suo nome è caro agli amatori dell'agricoltura, poichè fu la città di un Casimiro Nicolò, e d'un Giuseppe Minelli, uomini generosi e sapienti, che imitarono le virtù ed il senno di Pier Crescenzi, facendo sacrificio della propria fortuna per migliorare le terre, e ridurle alla maggiore fertilità.

Sin da remoto tempo il comune di Venola trovasi memorato nelle storie, ma precisare l'epoca de' suoi primordii mal lo si potrebbe. In alcune cronache viene esaltato sin dall'undecimo secolo per la floridezza de' suoi vigneti, per la rarità delle sue frutta e per la vaghezza di sua posizione; ma noi prendendo a guida gli storici di maggior fama, diciamo con sicurità che le prime notizie di questo luogo si ricavano dall'imperiale diploma di Federico II, datato nell’anno 1221, mercè del quale Venola e suoi abitatori son confermati in feudo ad Ugolino conte di Panico. Dopo il tredicesimo secolo lo vediamo soggetto al Comune di Bologna come semplice massaria, ed ora lo troviam dipendente da quella giusdicenza, perchè aggregato al Municipio di Caprara, altra delle Magistrature comprese nel Felsineo distretto. Questo territorio e gli altri conterminanti dànno frumento ed ottimi vini; il granone si coltiva da pertutto, ed una delle maggiori sorgenti di lucro è il bestiame cornuto e pecorino. Il numero de' suoi abitatori è oggi di circa 370, la maggior parte occupati nella coltivazione delle terre, e quantunque la parte piana del territorio sia assai limitata, si gode in ogni punto di un clima temperato e di un aria eccellente. Venola è bagnata a levante dal fiume Reno, ed a meriggio da un grosso torrente, che ne rade minaccioso i campi ed i vigneti; è intermediata dalla nuova via che da Bologna conduce a Livorno, ed ha per confine le parrocchie di Sperticano, di Panico, di Montasico, di Malfolle e Luminasio. Anticamente la chiesa di Venola era sotto l’invocazione dei Ss. Stefano e Benedetto, e dipendeva dalla pieve di Panico. Tale era ancora la sua condizione quando nel 1378 si rinnovò il censimento delle parrocchie nella diocesi; e tale si conservò sino alla metà del secolo XVI. Ma la povertà della sua dote, e lo squallore del tempio fecero che per un intero decennio restasse vedova del parroco; per cui nel 30 Ottobre 1557 il Vescovo Giovanni Campeggi l'unì come semplice sussidiale alla cura di Luminasio, e rimase mezzo secolo circa in quest'umiliante posizione. Intanto i popolani si adoprarono con immensa possa onde risarcire la canonica, ed un pio sacerdote della cura si rassegnò ad assumerne il peso per ricondurla al grado di parrocchia. Difatti l'Arcivescovo Paleotti con decreto del 26 Gennaio 1606 le restituiva il suo titolo, rendendola affatto indipendente da Luminasio. Venuto a morte quel generoso sacerdote, il popolo, che aveva il diritto di presentare il paroco, gli elesse a successore un Don Gioan Antonio Barbetti, oriundo della stessa cura, il quale donò i suoi beni alla parrocchia prebenda e restaurò la chiesa coi proprii denari, levando il palco a travi e ponendola in volta. Tanto sagrificio di generosità non restò senza premio, perchè visitata la chiesa dal Cardinale Arcivescovo Nicolò Lodovisi Albergati, l’innalzò questi nel 5 Ottobre 1646 al grado di arcipretale e di plebana; quindi la segregò dall’antica matrice e le sottopose in perpetuo altre quattro parrocchie, vale a dire Montasico, Vedegheto, Vignola e Montepastore; accordò al benemerito paroco ed ai successori suoi il titolo di Vicario foraneo, e donò alla novella pieve il Fonte battesimale. Queste onorifiche distinzioni gode tuttora la chiesa di Venola, la quale, sempre di giuspatronato de' suoi popolani, celebra la festa principale in onore di Maria nella prima domenica di Agosto. Dopo il grande restauro del paroco Barbetti, la chiesa non venne più risarcita, per cui nel 1820 trovavasi con la canonica in cattivissimo stato. Volle però fortuna che vi fosse eletto arciprete il sacerdote Don Giovan Lorenzo Boni, il quale a proprie spese fabbricò la canonica, poi aiutato dai popolani alzò il volto alla chiesa e ne ribassò il pavimento, rendendola così di bella forma, e di una regolare architettura. L’edifizio è lungo 40 piedi, largo 18 ed alto 31, ed ha un organo con la sua cantoria di cinque cappelle, la maggiore delle quali dedicata a Santo Stefano, con quattro laterali più piccole, di cui una occupata dal battistero.

Nel circondario esistono due oratori, uno nel piano di Venola, dedicato a San Rocco, e spettante alla famiglia Minelli. L’altro dedicato a Santa Lucia nel luogo detto il Caricatore, appartenente alla famiglia Benassi. Le case sono sparse pel territorio e vi si contano due ville di delizia, con alcune civili abitazioni, che si distinguono assai bene dalle rustiche dimore dei contadini. Nulla poi qui rammenta l’antico caseggiato, né la ròcca ed il forte che Ugolino da Panico edificò sopra il colle nel 1203 per albergo del castellano e delle sue milizie. Ogni segno o vestigio sparì. Queste superbe moli che sembrava sfidassero la forza dei secoli, esistevano alla fine del 1306, ma sul cominciare del seguente anno furono dal popolo ammutinato leteralmente distrutte. Così si abbatterono le insegne della prepotenza, così cacciossi in bando la tirannia del feudalesimo.

Lo storico che narra un tal fatto, dice che gli abitanti, tribolati dalle avanìe di quei dominatori, insorsero uniti e disperati, e fecer bisogna per mille, che chiamarono alla riscossa i popolani di Montasico e di Malfolle, ma non furon soccorsi, che la tenzone fu perciò lunga, feroce e sanguinosa, ma non ricevendo i feudali alcun rinforzo d’armati, terminò col più felice successo, quello cioè di togliere il popolo da un’orribile oppressione, e di affrancarlo per sempre dall’odiata schiavitù.

Andava in quel mezzo ognor più dibassando la fortuna dei Panico, guerreggiati dal Comune di Bologna, il quale era sostenuto dai tanti nemici che s’erano procacciati, sì che Maghinardo ed il terribile Mostarda suo figlio finirono coll’esser chiusi in orribile prigione, ove il primo (privato della vista) stentò fino al finire dei suoi giorni, e l’altro ne fù tratto per aver mozzo il capo nel pubblico mercato della città.

Dott. Luigi Ruggeri  

 

 

 

   

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