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Madonna di Rodiano
un pò di storia
Chiese parrocchiali della diocesi di Bologna ritratte e descritte - Tomo terzo - 1849
SS Salvatore di RODIANO
Flagellata dagli odii cadeva la libertà in Italia nei tre secoli dopo il Mille. Popolo e grandi spartiti in guerra spegnevano la propria forza e felicità. Ostinato valore , maravigliosi ardimenti, pronta abbiezione , fervore nei campi, villa nelle case, agonia d'indipendenza, straniera servitù preparavano morte alle repubbliche. Feudali avari, prepotenti, libidinosi, perpetuo lottanti co' municipii; armi e sangue nelle città, nelle scuole, nelle chiese; rabbia di fazioni, tirannia di nobili, strazio di plebe, ogni cosa in ira, tutta Italia in lagrima declinava alla propria consumazione.
Senonchè alcuni uomini, cui pesava altamente questo fato tristissimo del bei paese adopravansi a tutta possa onde render concordi i voleri, libera l'educazione, forte e rispettato il governo nelle città, franche le terre e le piccole comuni dalla schiavitù dei tiranni che le opprimevano. E tanto operava pel meglio di questi luoghi il bolognese Senato; il quale nell'anno 1123 riscattava dal ferreo giogo dei lor padroni molte castella sui monti, ed in ispecie quelle di Sanguoneda, di Capriglia, e di Rodiano; le quali dopo la fuga degli odiati dominatori faceano spontanea dedizione al bolognese reggimento. Questo poi, visitando col mezzo di legati i sottomessi paesi, provvedevali di soldatesche, di vettovaglie e di ottimi governanti; e perchè il castello di Rodiano era assai forte e trovavasi sulla strada che conduce al Frignano, si pensò per vie meglio difenderlo di affidarne il presidio ai capitani più esperti e valorosi. Quindi nell'anno 1312 venne dato al prode Federico conte di Panico, amico allora ed alleato de' bolognesi; il quale godeva fama di celebralo guerriero, e nome di saggio e prudentissimo magistrato. E veramente fu gran ventura che quivi tenesse stanza un capitano di si alto senno, mentre nell'anno 1322 i modenesi comandali dal terribile Passarino Bonacossa vennero per espugnarlo e conquiderlo. Posto da costui l'assedio sul finire di Marzo, e cinto il castello d' ogni intorno con numeroso esercito, senza l' intrepidezza, la costanza e il fiero orgoglio del Conte in poco più di due mesi avrebbe dovuto cadere ed arrendersi. Ma invece volgeva l ' autunno al suo termine: tutta la campagna coprivasi di neve e di gelo, e gli assedianti (già decimati dalle sortite del presidio) non aveano progredito d' un passo. Pur vollero fare l' estremo sforzo; ed inteso da un perfido esploratore come gli assediati patissero difetto di alimenti, e ne fosse quindi scorata la soldatesca, diedero un'improvviso assalto alla rocca, tentando insieme di superare la grossa muraglia del castello e penetrarvi dentro.
Ma invano saliron le scale; invano percossero i muri colle ferrate macchine. Gli assediati, sempre condotti ed animati, dal prode Federico, fecero prodigi di valore e tennero sì a lungo le difese, chè, venuti rinforzi d' armi e d'armati dal bolognese Reggimento , i modenesi dovettero lasciar l' impresa e darsi a precipitosa fuga. Poche furono le perdite degli assediati, breve la penuria che soffrì il popolo. Ma pure ove il soccorso di Felsina avesse mancato, ovvero di un sol mese l'avessero i reggenti procrastinate, tanti prodigi e una sì lunga costanza di patimenti erano pel tradimento di un delatore miseramente perduti !
Dopo la cacciata dei modenesi il castello di Rodiano fu dal Senato nuovamente munito; e chiamando il conte Federico a più grandi imprese, ne fu dato il governo a Muzio da Lojano, buon soldato ed eccellente cittadino , il quale tenne la rocca per due lustri interi, e resse quel popolo con amore, sapienza e lealtà. Intanto però le gare dei partiti ognor più si accendevano; ogni città, ogni terra, ogni paese era ferocemente agitato dalle civili discordie; e mentre il Senato di Bologna parteggiava pe' Guelfi, i nobili fuorusciti e i feudatari teneano pe' ghibellini e tormentavano con assalti od incursioni quelle comunità, che poste nella dipendenza del Senato, favorivano la Chiesa.
Erasi giunto al 26 Luglio 1334, e già da più mesi il castello di Rodiano era nuovamente osteggiato. Stringevanlo d'assedio i conti di Panico fierissimi ghibellini, divenuti avversi al bolognese Senato, i quali l'aveano circondalo di numerosa schiera , tagliando strade e deviando le acque, tanto che difettando d'ogni vettovaglia potea dirsi ormai prossimo alla resa. Unica speranza rimaneva nel sovvenimento de' guelfi, che condotti da Lando castellano della rocca di Savigno doveano venire in aiuto degli assediati. Fecer raccolta d'ogni cosa ch’era di mestieri la fatto di viveri per introdurli nell' assediato castello, ma con sì poca cautela, che sopraggiunti dagli armigeri dei Panico i soccorsi, furono messi in fuga e loro tolte le vettovaglie adunate. Smarriti d' animo perciò que' terrazzani non esitarono maggiormente ad aprire le porte dei loro castello alle schiere ghibelline, le quali si comportarono come solevasi in quell’età tribolata dalle ire di parte, insanguinata da crudelissime memorie, frutti tutti della barbarie di un secolo di ferro.
Ma il bolognese Consiglio, cui troppo doleva il non avere a tempo aiutato quest'infelice paese, chiamò all'armi le milizie del piano; e composto in fretta un esercito, ne diede il comando al fiorentino Angelo Ferraboschi ed al bolognese Paolino Garzoni, spingendoli alla ricupera dell'espugnato castello. Giunsero le truppe nel terzo giorno d' Agosto e cominciarono l'assalto; ma i Panico eran gente agguerrita e tenevano gran copia di soldati e provvigioni, sicchè per due mesi fu inutilmente fatta prova di sottometterlo. Finalmente crescendo gli aiuti agli assalitori e diminuendo ai Panico il presidio e le vettovaglie, si venne a disperata battaglia nel giorno 3 Ottobre sotto le stesse mura del castello, con immensa perdila di entrambi. E se nell'indomani gli assediati piegarono ai patti della resa, si fu l 'aver conosciuto che ogni provvigione veniva meno, e che ingrossando le fila del nemico, il ritentare la sorte dell' armi era stoltezza e non ardimento, foga inutile di ferocia e non guerresca abilità. Il castello fu quindi ceduto con tutti gli onori di guerra. Il presidio sortì con bandiera spiegata e coll'armi imbrandite, mentre l'esercito dei bolognesi faceva ala al di lui passaggio in attitudine rispettosa e plaudente; dopo di che occupò la rocca e le caserme, ed il paese tornò sotto la dipendenza del felsineo Senato.
Pure l 'ingrata fortuna non era ancor paga di questo, poichè passati appena due lustri, quando il paese rimettevasi dai patiti danni della guerra, un famoso bandito chiamato Bombaroni venne con grossa masnada di scherani ad occuparlo imponendo grave taglia di denaro, e discacciandone la guarnigione.
ll Senato che teneva le truppe a tenzone coi modenesi ed avea la città dilacerala dalle intestine discordie, mandò assai debol rinforzo a ricuperarlo. Per cui consumandosi le soldatesche in un lungo ed infruttuoso assedio, fu mestieri il discendere a patti col bandito e riscattare il castello a prezzo di francar lui e i consorti tanto dall'attentato presente che da tulle le antecedenti criminazioni. Per ben due secoli in appresso ebbe quiete e prospero questo luogo sotto il dolcissimo freno dei bolognesi; i quali con provvida mente avean fatto demolire le rocche e la muraglia del castello affinchè i nemlci non trovassero modo di quvi afforzarsi, e mantenersi. Ma un'altro bandito di nome Camillo Sacchi, che aveva moltissimi seguaci e depredava la montagna, passò nel 1532 da Vergato al castello di Rodiano; saccheggiando le case e rubando gli armenti, e quindi appiccato il fuoco all'abitalo, si rivolse alla vicina comune di Prunarolo, ove fu poi raggiunto dalle armi dei bolognesi che lo assalirono entro una casa e l'uccisero. Quest'epoca infausta segnò la distruzione del castello. l rudianesi ne emigrarono a poco, a poco, ed ora rimangono le sole abitazioni campestri, con qualche civile caseggiato, che il tempo ha quasi consunto, o ridotto a tristissima condizione. La storia non ha registralo altre vicende di questo lungo; il quale dopo essere stato per oltre due secoli una semplice massaria di contado, fu nel riparto territoriale del 1796 sottoposto alla comune di Savigno, in cui trovasi ancora, colla dipendenza dal governatorato di Bazzano. ll suo territorio è molto vasto, quantunque la sua popolazione non sia che di 350 individui. Giace a ridosso di un alto monte, ed ha un suolo assai fertile in genere di biade, vino e frutta. Vi sono buoni castagneti ed estese boscaglie con pascoli e prati artificiali, e vi si alleva molto bestiame, che è la principal sorgente di lucro di queste popolazioni. Le parrocchie che lo circondano sono Tolè , Vedegheto, Calvenzano, Liserna , e Prunarolo. Dista da Bologna circa venti miglia al sud-Ovest, e vi si giunge per la via del lavino, unica praticabile, poichè tutte le altre strade non meritano che il nome di sentieri e di rompicolli. Ma tempo è che si parli dei religiosi edifizi. La chiesa parrocchiale di Rodiano (dedicala al Santissimo Salvatore) si trova indicala nell'autentico campione dell' anno 1378, ed era in quel tempo, come lo è tuttora, aggregata alla pieve di Calvenzano. ll suo giuspatronato che spettava prima ai conti di Panico, fu nel 1406 acquistato dai popolani, i quali poi con rogito del notaro Grazia Baldolini lo rinunziarono nel 15 Aprile 1679 alla R. Mensa. La sua antica chiesa esisteva in luogo discosto ben cento pertiche dall'attuale ed era vasta e solidamente costrutta; ma nell' anno 1652 si scosse il terreno sottostante per una profonda ed estesa frana, e la fabbrica si aperse e in men di tre giorni diroccò. Questa sciagura, che avrebbe sconfortato ogni altro popolo di maggior numero e fortuna, fu la causa di uno slancio religioso che non ha esempio. Posciacchè radunati i capi di famiglia ed eccitati dall' ottimo parroco Don Francesco Monti, fermarono di edificare un nuovo tempio più ampio e più sontuoso dell’altro, e di aggiungervi la canonica ed il campanile. E senza por tempo in mezzo, cercarono il suolo adatto e lo comprarono per duecento lire, poi nel giorno 17 Agosto l654 diedero mano all' opra secondo il disegno del modenese Francesco Martini, continuando il lavoro senza riposo o interruzione. Alla fine di Giugno del 1655 vedevansi già i muri esterni a molta altezza sopra il terreno. Un anno dopo, la fabbrica era coperta ed era compita la cappella maggiore. E nel dì 7 Settembre del successivo 1657 i lavori eran condotti ai suo termine, per cui la chiesa fu benedetta nel giorno seguente, consacrato al nascimento di Maria, e vi si celebrarono i divini misteri. Ultimata questa fabbrica, i popolani innalzarono il campanile, poi dopo circa un decennio la casa del parroco; quindi nel 1681 l’interno della chiesa fu decorato o meglio sopraccaricato di fregi e di rabeschi, e furono fatte le ancone nelle minori cappelle.
L’edifizio è d’ordine corinto, lungo piedi 54, largo 20, ed ha una cappella maggiore molto vasta, nella quale si ammira un bell' altare ed un maestoso tabernacolo. ll presbiterio è cinto da moderna balaustrata di ferro ornala di ottoni, ed in alcune nicchie si conservano molte reliquie di Santi. Il quadro però dell’altare non ha verun pregio artistico. Entrando in chiesa per la porta grande, si trova a mano destra la cappella col S. Fonte battesimale, avente un quadro di buona mano che rappresenta il Redentor divino col S. Precursore al Giordano. La seconda cappella è dedicala a S. Giuseppe con bellissima tela del Gandolfi e con elegante ornato, fatto nell' anno 1812 per le solerti premure del parroco Don Vincenzo Tombelli. Nella terza cappella avvi un quadro con Gesù i crocefisso, che credesi della scuola di Guido, ma è assai mal conservato. Volgendosi a sinistra, il primo altare ha una statua di S. Antonio di Padova. Il secondo un cattivo quadro coi Ss. Gaetano e Filippo Neri. E l' ultimo la B. V. del Rosario co' suoi misteri dipinti in una tela che recentemente
fu ritoccala e ristaurata.
Il secolo in cui venne innalzato quest’edifizio era per le belle arti il secolo di ferro e di piombo. Lo stile ammanierato del seicento domina sopra tutte le parti del tempio; e la pena che quegli ornamenti di pessimo gusto fanno ad un' occhio, esercitalo al bello architettonico, è l' origine de' giudizi sfavorevoli che molti han proferito sù questa magnifica chiesa. Ad onta però di questi difetti, appartenenti in gran parte agli ornati, convien confessare che il tutt'insieme rende attoniti l'occhio ed il pensiero. Pochi anni or sono per lo zelo dell' attuale parroco Don Romano Palotti vennero fuse quattro nuove ed armoniose campane dal bolognese Marcello Franceschi, e furono eseguiti rilevanti ristauri all'esterno delle fabbriche. Bello quindi e pittoresco è divenuto il corpo di questi edilizi, come deliziosa e patetica la sua posizione. Alcuni cipressi, contemporanei del Medio Evo, ombreggiano i contorni del cemitero ed il piazzale della chiesa; e l'uomo di larga cultura non può avvicinarvisi senza provare una forte emozione e un senitmento irresistibile di riverenza. Nel distretto di questa cura avvi un grande oratorio di forma antica, appartenente alla parrocchia, il quale fu edificalo dalla famiglia Lanzarini nell'anno 1644. Esso è dedicalo alla Beata Vergine, e chiamasi il Santuario di Croce Martina, ove concorre moltissimo popolo alle funzioni che vi si celebrano e specialmente a quella del giorno 8 Settembre, considerata la festa principale del paese. Non molto lungi dal Santuario stesso trovasi la cappella di San Gio. Battista de' Mascagni, spettante coll'attiguo palazzo al Sig. Giacomo Bettini di Vergato. Da quì si ascende sulla cima del colle, ove esisteva la rocca o fortilizio dell'antico castello. Ivi si apre all' occhio dello spettatore la magnifica scena delle pianure di Lombardia con interminabile orizzonte; si vede l' immenso anfiteatro degli Apennini, che innalzano verso l’azzurro firmamento le cime nevose, il lago di Ecchia, che nelle fresche e limpide acque riflette le selvose pendici, che ne chiudono intorno le sponde; il castello di Lojano a levante, quello di Monteveglio a ponente più volte rovinati, più volte distrutti nelle guerre fratricide dei secoli di mezzo.
Dott. Luigi Ruggeri
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