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E’ stato molto intenso ed emozionante quest’ultimo 25 aprile 2011 a Monte Sole con Margherita Hack e Giancarlo Caselli. Due persone che possono essere citate ad esempio per l’integrità intellettuale ed etica. In questo articolo si possono ascoltare gli interventi, e vedere le immagini dei momenti salienti della giornata.
Discorso di Margherita Hack
Discorso di Giancarlo Caselli
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http://www.youtube.com/watch?v=8gKiLpwsJrY
Frammento dei Modena City Ramblers a San Martino
http://www.youtube.com/watch?v=PA9XY88eDDw&;feature=player_embedded
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Il 25 Aprile a San Martino Nichi Vendola ha fatto un discorso che contiene molti spunti di riflessione: sull'origine del fascismo, sull'industria dello sterminio, sulla resistenza e sui giorni nostri. Non tutti forse lo hanno potuto ascoltare, allora ho pensato di riproporlo qui, con filmato e trascrizione del discorso.
Le foto: Bruno Veronesi, Presidente ANPI Marzabotto; Un momento della manifestazione a San Martino; Vendola con Valter Cardi, Presidente Comitato Oneranze ai Caduti di Marzabotto; Il folto pubblico vicino al cimitero di San Martino; Niky Vendola, Olga D'Antona, e Romano Franchi;
25 Aprile 2010 a San Martino: perché i “valori della Resistenza” sono così deboli di fronte agli attacchi del “revisionismo” ?
Viviamo tempi di amarezza e di inquietudine, in cui si ha la sensazione che la storia e la memoria siano precipitate in un buco nero; si ha la sensazione di vivere nel regime dell’oblio, della dimenticanza obbligatoria; di fronte a una sorta di Blob, fotogrammi del passato che si mescolano e si confondono; non ci consentono più di esercitare il dovere del discernimento; la capacità di avere giudizi sfogliando l’album delle storie nostre, ripercorrendo la narrazione di quella epopea straordinaria che fu una guerra di popolo e una guerra di liberazione. Si ha la sensazione che tutto oggi sia ridotto a un’indistinto, a una sequela di cose lontane, poco significative.
Ci sono delle strane attitudini nei frequentatori di cimiteri …nei frequentatori da talk show dei cimiteri. C’è la voglia di mettere tutto insieme, il torto e la ragione, la storia di chi morì lottando per la libertà, e la storia di chi militava dalla parte del nazifascismo. Viceversa questi strani frequentatori di cimiteri cercano invece di distinguere le tombe di coloro che lottarono per la libertà. Ho visto anche di recente in televisione delle puntate molto maliziose, tese a raccontare una resistenza buona e una resistenza cattiva. E vedete, lì no, li non si può proseguire. Li è sacrilegio. Furono tutti i nostri morti. Comunisti, Socialisti, Cattolici, Liberali, Azionisti, Monarchici …. Non ci fu una resistenza buona e una resistenza cattiva. Ci fu una storia drammatica che ruppe la vergogna di un ventennio nero, che era stata la reazione delle classi dirigenti alla domanda di libertà che era sgorgata nel cuore del mondo del lavoro.
Il fascismo fu questo. Il tentativo di bloccare l’avanzata del movimento operaio.
Nelle campagne della mia terra, e nelle fabbriche del nord, povera gente, censita sotto la voce plebe, si era trasformata in un moderno proletariato rurale e urbano, che aveva cominciato a prendere confidenza con una parola che le oligarchie e i filosofi avevano considerato retaggio castale: la parola libertà. Una proprietà, un reddito, una condizione sociale. La libertà dei Cafoni di Puglia, la libertà di coloro che il mercato del lavoro lo incrociavano nelle albe primo-novecentesche sotto il giogo del caporale. La libertà di chi ogni giorno davanti ai cancelli di una fabbrica cercava di guadagnare il proprio pane. Era una libertà imprevista, era la libertà dal basso, è come vedere l’erba dalla parte delle radici, per citare la metafora di un grande partigiano come fu Davide Lajolo, comandante Ulisse; la libertà che è il pane che tutti insieme possiamo mangiare e condividere. Irrompeva nell’agone della storia questa libertà, e dava voce a un protagonista che non eravamo abituati ad ascoltare, un popolo nuovo, quello che nel risorgimento aveva avuto un ruolo residuale, e che invece nella guerra di liberazione diventa protagonista decisivo: il popolo Italiano. Un popolo fatto di braccianti e di operai, un popolo di classi subalterne che seppero colloquiare con intellettuali e con borghesi, riimmaginando insieme un patriottismo che non fosse quello che viene celebrato con bolsa e insopportabile retorica, con dissipazione di gagliardetti e di inni nazionali, magari per difendere anche la vergogna delle guerre coloniali e dell’aggressione a popolazioni inermi. Il patriottismo è terreno scivoloso, è luogo di furbizie semantiche, è luogo in cui imperversa la mafia delle parole. Il patriottismo non è rivendicare la nobiltà del sangue e le prerogative della terra; il patriottismo è sentirsi abitanti della patria unica che è il nostro pianeta. E oggi la più grande forma …. permettete che io lo dica con consapevole vis polemica …. La più grande forma di patriottismo nel nostro paese è quella che esprime Emergency e Gino Strada.
Nella sua meravigliosa “Storia degli Italiani” lo storico Giuliano Procacci mette in epigrafe una citazione da un libro di Cesare Pavese, “Il Compagno”, è il dialogo fra un cittadino e un confinato politico:
“lei ama l’Italia” ……
questa è la domanda che viene rivolta al confinato politico, che guarda il suo interlocutore e dice:
“amo gli Italiani!”
Per dire che una patria che non sia una comunità, e un patriottismo che non sia l’annuncio della comunanza nell’esecizio dei diritti e dei doveri è un partiottismo pericoloso, come è pericoloso il patriottismo delle piccole patrie, delle enclave etniche, di coloro che reiterno codici …..
Il fascismo fu la risposta che gli agrari del Sud e gli industriali del Nord diedero a questa domanda di libertà che viveva nella vita della povera gente. Badate, era una domanda molto semplice, per quelli che ho conosciuto meglio io, braccianti e analfabeti della mia terra, era semplicemente rendersi conto che morire di pellagra, dormire in 15 nello stesso unico ambiente insieme all’asino, non era frutto una volontà del cielo, era frutto di relazioni sociali, di processi storici, di una gerarchia violenta che voleva che qualcuno fosse molti gradini più su, e quasi tutti gli altri molti gradini più giù. E questa consapevolezza dava a tanta povera gente l’orgoglio di una nuova identità. Vedete, il vecchio liberale che si affaccia dal balcone della sua biblioteca nel centro storico di Napoli, don Benedetto Croce, vede gli abitanti dei "bassi" e usa una espressione non molto gentile nei confronto di quello che si chiamava un tempo “popolino”:
“volti tondi e lisci come palle di bigliardo” bassi
Non vede il volto; la folla è una entità indistinta. Chi ha paura delle masse popolari le rappresenta con immagini mitologiche e mostruose.
E invece quella folla, quel popolino quella plebe, seppe nella battaglia per la libertà e la democrazia, recuperare, riprendersi il proprio volto, e ogniuno di quei nomi e di quei volti ha costruito giorno dopo giorno la gloria e l’onore della democrazia repubblicana in questa lunga storia.
Imparammo anche a leggere cosa potesse consentire a una nuova industria, quella dello sterminio, di diventare l’apparato militare e industriale di quella “Mitteleuropa” che pareva vocata alla modernità e a guidare l’incivilimento del mondo.
Badate, quello che è accaduto deve ancora interrogarci duramente. Il Nazifascismo non ha fatto le proprie prove generali in una condizione periferica e tribale del mondo: ma qui, nel cuore del continente della modernità. Quel vecchio continente che aveva conosciuto la Rivoluzione Francese, e l’annuncio di una civiltà illuminata dalla ragione. E invece nel cuore di quel secolo che avrebbe dovuto generalizzare il governo della ragione, che avrebbe dovuto illuminare la vita quotidiana con i valori della ragione, accadde che proprio lì ….
Pensate, Auschwitz, a due passi dalla bomboniera più bella d’Europa, Cracovia.
Pensate, quei campi di sterminio sono una sequenza che disegna un pezzo tra i più avanzati e moderni della nostra Europa. Fu lì, nel cuore del secolo della modernità che fu pensata l’industria dello sterminio. E quell’industria fu tanto efficace perché fu preparata da un mutamento straordinariamente sagace del significato delle parole. Fu preparata da questo spostamento quotidiano della soglia delle parole. Quando le parole, che sono soltanto apparentemente innocenti, e qualcuno le immagina neutre, vengono usate come corpi contundenti per indicare in un pezzo dell’umanità, in un frammento del genere umano, un nemico, una minaccia, un’icona spaventevole.
Badate, noi abbiamo visto l’Italia della vergogna a Ponticelli e a Rosarno, e dobbiamo sapere che lì …. lì si è smarrito il nostro vocabolario. I codici civili della nostra storia, il nostro patriottismo ha preso una piega inquietante e un po’ … loffia.
E allora dobbiamo tornare a chiedere: “come è potuto accadere”.
Una filosofa ebrea e tedesca come Anna Harent, nel raccontare il processo ad Eichmann, al grande burocrate della macchina dello sterminio, ha introdotto una nozione che ci serve molto oggi: “la banalità del male”.
Il Nazismo, il Fascismo … furono possibili e furono conseguiti con il Plebiscito, con uno straordinario consenso culturale. Ebbero una forza egemonica straordinaria perché il loro vocabolario diede una identità cattiva e malvagia a un momento di crisi e di transizione di comunità importanti del vecchio continente.
Capite cosa voglio dire ?
Voglio dire che la banalità del male è esattamente quella cattiva tentazione, quella tentazione diabolica, con cui noi conviviamo. Abbiamo, amici e amiche, il torto di avere trasformato il 25 di Aprile in una immagine oleografica. Abbiamo il torto di aver fatto dei valori della costituzione un richiamo retorico.
Mentre la costituzione veniva giorno dopo giorno stracciata nei suoi articoli fondamentali e nel suo significato storico, noi non siamo stati in grado di spiegare, di narrare alle giovani generazioni che non stavamo raccontando una stagione della nostalgia, ma che stavamo parlando del futuro raccontando quel passato.
Che l’articolo 1 della Costituzione è incompatibile con i processi di precarizzazione del mercato del lavoro. Che l’articolo 3 è incompatibile con le leggi razziali che sono state volute negli ultimi anni in questo paese. Che l’articolo 11 è incompatibile con l’attuale nostra presenza bellica in teatri in cui annunciammo la nostra volontà di peacekeeping.
Ma poi vedo che gli attuali responsabili del dicastero della difesa non si vergognano di svelare che la peacekeeping è semplicemente una foglia di fico. C’è una “war keeping”, c’è una partecipazione esplicita a un teatro di guerra.
E questo lo dico perché l’aticolo 11 fu molto pensato dai nostri costituenti. Il verbo che adoperarono, lo dico per aver sentito una bellissima citazione nella introduzione religiosa di questa manifestazione, che è la citazione del pensiero del più estremista dei pacifisti, cioè del profeta Isaia.
I padri costituenti usarono un verbo di pregnanza veterotestamentaria. Un robusto verbo biblico: “ripudiare”.
L’Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali.
Ripudiarono. Allontanarono con sdegno davanti ai propri occhi l’immagine della guerra. Perché davanti ai loro occhi c’era un intero continente trasformato in un gigantesco mattatoio. La grande guerra, quell’unica grande guerra che dal 1915 al 1945 aveva trasformato la vecchia Europa in un condendsato di tutte le barbarie della storia umana trasponendole sul terreno della loro evoluzione industriale.
L’antico artigianato dell’uccisione, l’estetica del corpo a corpo diventa invece la raffinatezza dello sterminio industriale, della tecnologia della morte, che tra Aschwitz ed Hiroshima fa le proprie più stupefacenti prove.
E allora siamo qui a ricordare.
Badate, ripeto, non un esercizio di retorica, non un esercizio di nostalgia.
Ricordare dal punto di vista di chi sa quanto siano preziosi quei valori, quanto siano fondative quelle storie. Cancellare la memoria significa costringerci a vivere nel presente che diventa una spece di palude, tutti bloccati nel presente senza poter fare un passo indietro a interrogare le storie di ieri, e quindi senza poter fare un passo in avanti, a immaginare un mondo migliore, a immaginare una società più gentile, a immaginare rapporti tra uomini e donne, tra popoli, tra gli umani e la natura, segnati da un’altra cultura.
Ecco, che fare: io penso questo, penso che noi dobbiamo rivolgerci senza rancore, non con il risentimento degli sconfitti, ma con il cuore di chi sa scrutare gli orizzonti nuovi della speranza. Dobbiamo rivolgerci alle giovani generazioni e saper annunciare la resistenza necessaria dei tempi nostri.
La resistenza necessaria dei tempi nostri si fa non clonando modelli del passato. I nostri partigiani, coloro che qui su questi appennini seppero diventare combattenti ed eroi non studiarono un modello da applicare, costruirono col buon senso, col buon cuore, con la buona intelligenza un modello di lotta.
A noi tocca immaginare la lotta dei giorni nostri. Io penso che la lotta fondamentale è quella delle idee e per le idee. E’ quella che oggi per esempio ci consente di ribellarci a una lettura della resistenza che la riduce a un paragrafo della conquista americana del mondo. Noi che fummo e siamo così grati agli alleati americani e non solo americani che vennero nel teatro europeo a combattere per la libertà, non possiamo naturalmente non mettere in quella straordinaria storia di martirio e di onore i partigiani, a cominciare da quelli della Stella Rossa, di queste campagne, di queste montagne.
E poi io penso che la resistenza del futuro è quella che deve mettere al centro il tema della violenza. Della violenza in tutte le sue forme. Della violenza del potere, della violenza di chiunque possa esercitare potere nei confronti di qualcun altro. La violenza che noi vorremmo o dovremmo trasformare in un tabù.
Vedete, sono passati tanti anni, pensavamo di avere imparato tante cose, e invece vediamo che è la violenza che è capace di modernizzarsi, che è capace di mettere insieme codici arcaici e codici post-moderni. Di inventare strani connubi tra i diversi evi. Abbiamo assistito allo sgozzamento rituale del nemico videoripreso, perché il videotape diventa uno strumento di replicazione di immagini di onnipotenza.
La verità è che finchè il genere umano penserà di dover sfidare Dio detronizzandolo per esercitare non la propria responsabilità, ma un delirio di onnipotenza. Finchè accadrà questo, nell’economia, nella politica, nella statualità, persino nei rapporti tra i singoli individui, noi saremo ancora schiavi di un mondo cattivo. Per annunciare un mondo nuovo dobbiamo abbattere le barriere che rendono gli individui discriminati e discriminanti. Dobbiamo immaginare ……
Ancora oggi fischia il vento, infuria la bufera. Ma non è vero, non è vero che abbiamo le scarpe rotte. Abbiamo le scarpe griffate. E a volte abbiamo griffato tutto. Abbiamo griffato l’immaginario, qualche volta perfino la coscienza. Una buona firma è diventata il surrogato di una buona vita.
La buona vita è quella che ci rammenta i nostri doveri.
Per esempio permettete a me di concludere tornando un attimo su quella celebre profezia di Isaia, e concludere con questo.
E’ una profezia divisa in tre tempi che sono straordinari.
L’annuncio di un mondo che potremmo descrivere in termini di conversione del modello produttivo:
“forgeranno le loro spade in vomeri e le loro lance in aratri”.
Trasformeranno … in questo futuro visionario … trasformeranno gli strumenti della guerra e della morte negli strumenti del lavoro e della vita.
Primo movimento straordinario … quasi un programma politico. C’è qualcuno nella politica più coraggioso del profeta Isaia ? Non ne vedo molti!
E poi, e poi ancora … “nessun popolo leverà più le armi contro un altro popolo”. Un bel programma di politica estera, di politica internazionale, e il terzo punto è:
“Nessun essere umano si eserciterà più nell’arte della guerra”, perché ci eserciteremo nell’arte dell’accoglienza, della convivialità, della pace.
Sono giorni tristi. Tristi. Sono giorni tristi. Sono giorni in cui il cuore impara a convivere con una spece di amarezza permanente. Sono giorni in cui il rischio è di sentirsi prigionieri dell’ideologia dello sconfittismo, come se i nostri valori fossero reperti archeologici.
Sono questi i momenti in cui noi dobbiamo sapere raccontare l’insopportabilità di questo buio e di questo gelo, e dobbiamo avere il coraggio di costruire una profezia laica, quella che sempre è in grado di annunciare alle giovani generazioni tempi migliori.
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- Scritto da Stefano Muratori
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Ascanio Celestini a Monte Sole
14 set 2011 Campeggio Nazionale delle Resistenze - Ascanio Celestini
http://www.youtube.com/watch?v=Zs58Ec4gigQ
Ascanio Celestini a Monte Sole il 9 settembre 2011 ha portato il suo spettacolo “Il piccolo paese”. E’ un monologo che racconta di un paese fatto di piccoli uomini, piccole donne, e piccoli bambini tutti vittima dei meccanismi surreali del mercato e dei consumi. Un paese governato da furfanti e mafiosi.
Tutto lo spettacolo e la satira di Ascanio fa leva sulla nostra passiva accettazione della realtà in cui ci troviamo a vivere, e sulla contraddizione fra ciò che pensiamo di essere e ciò che siamo.
Nel caso della sua frase “butto la bomba” che ripropongo dal filmato della serata a Monte Sole, alla fine la metafora è su quella esigenza che ciascuno di noi sente di dover fare qualcosa, ma che poi si traduce pian piano in una integrazione nella viscosa (a)normalità che ci circonda.
In internet sono disponibili innumerevoli filmati che ripropongo gli stessi temi dello spettacolo che Ascanio ha portato a Monte Sole più altri ancora. Non ne ho visti altri però sul “butto la bomba” che ho messo su youtube. Segnalo qui sotto alcuni link particolarmente attinenti a ciò che abbiamo sentito a Monte Sole per chi fosse interessato. D’altra parte basta andare a cercare Ascanio Celestini con un motore di ricerca per trovarne tanti altri.
Piccolo paese (tony mafioso perde il pisello)
http://www.youtube.com/watch?v=DecsyVigfbg
Piccolo paese (i partiti e il governo del piccolo paese / produci e consuma)
http://www.youtube.com/watch?v=7T1j68BvJDg
Tony Corrotto e Tony Mafioso
http://www.youtube.com/watch?v=mEpezhuz9BI
La scuola che insegna la fila indiana
http://www.youtube.com/watch?v=4NZ7FhOXad8
L’uomo di sinistra
http://www.youtube.com/watch?v=dr4ubQW6XS8&;feature=related
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- Scritto da S.M.
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Pontelandolfo e Monte Sole
14 AGOSTO 2013
Il 14 agosto del 1861 a Pontelandolfo come a Monte Sole.
http://notiziefabbriani.blogspot.it/2013/08/il-14-agosto-del-1861-pontelandolfo.html
12 set 2011 29 Maggio 2011 - UN SECOLO E MEZZO DI FERROVIA PORRETTANA
Massacro di Monte Sole (1944) e massacro di Pontelandolfo (1861)
Non sono un amante delle celebrazioni o degli anniversari, ma il 29 Maggio 2011 andai alla stazione di Marzabotto per fare alcune foto del treno a vapore che avrebbe sostato lì, come in tutte le stazioni da Bologna a Porretta, per la rievocazione storica in occasione del 150°. Il treno arrivò intorno alle 11, e siccome avevo in testa solo l’immagine della macchina a vapore avevo scelto la posizione per fotografare quel “mostro strano” di cui Guccini diceva: “e sul binario stava la locomotiva, la macchina pulsante sembrava fosse cosa viva, sembrava un giovane puledro che appena liberato il freno mordesse la rotaia con muscoli d' acciaio, con forza cieca di baleno”.
Solo dopo avere soddisfatto questa mia fantasia mi resi conto che c’era dell’altro. C’era una banda, c’erano figuranti di Kainua, c’erano personaggi storici che erano scesi da quel treno. Fra questi veniva raffigurato il Rè d’Italia Vittorio EmanueleII al quale casualmente passai vicino quando il mio amico Frabboni gli stava consegnando una lettera.
Vista la confusione pensai che avrei poi approfondito in seguito il contenuto di quella lettera.
Alcuni giorni fa è stato lo stesso Frabboni a ricordarmi questo impegno (impegno che avevo dichiarato nella discascalia dove lo ritraevo alcuni istanti dopo che la lettera era stata consegnata).
La lettera, che pubblico qui sotto, è molto formale ma altrettanto piena di significato, e con acuta intelligenza mette in relazione il massacro di Monte Sole con quello meno noto che il 14 Agosto 1861 avvenne a Pontelandolfo e Casalduni, chiedendo conto ai potenti che sempre si sono macchiati di ipocrisia e di violenza per ottenere ciò di cui sono ambiziosi.
Più in basso, dopo la lettera al Rè Vittorio Emanuele II pubblico anche il testo della lettera che lo stesso Frabboni ha inviato al (vero) Sindaco ed al Consiglio Comunale di Pontelandolfo.
Infine potete trovare alcune informazioni su Frabboni.
Gian Paolo Frabboni ha appena consegnato la lettera al Re Vittorio Emanuele II (raffigurato da Alessandro Riccioni, attualmente bibliotecario a Porretta Terme, nonchè autore di libri per bambini). A fine anno ci sarà un numero monografico di NUETER sul progetto "Ferrovia Porrettana e i suoi 150 di storia". In quella occasione tra l’altro saranno pubblicati i discorsi tenuti in piazza e, probabilmente, anche la lettera qui sotto riportata.
Due documentari su Pontelandolfo
Alla c.a. del sig. Sindaco di Pontelandolfo e sigg.ri Consiglieri comunali
Oggi 14 agosto, per il Vostro paese e per l'Italia tutta, ricorre la nefasta ricorrenza in cui i "novelli italiani" si sono macchiati dell'assassinio di centinaia di "fratelli" ad opera dei criminali Cialdini e Negri, per conto del sovrano Piemontese.
Azione anticipatrice di quanto è avvenuto, nel secolo seguente, qui a Marzabotto da parte delle "SS" tedesche, dove nell' "Eccidio di Marzabotto" sono state annullate intere collettività senza riguardo alcuno per anziani, invalidi, sacerdoti, religiose, donne, bambini e... nascituri. Ma questo è stato perpetrato da ... nemici, mentre a Pontelandolfo erano... i fratelli. Ora il territorio di Marzabotto, oggetto della "strage" è completamente disabitato e i suoi monti sono stati dichiarati, con legge regionale: "Parco Storico Regionale di Monte Sole" di cui io sono una guida per le scolaresche, visitatori, curiosi e pellegrini.
Mi sento pertanto assai vicino al vostro dolore e mi auguro che giunga presto il momento in cui si riconosca il sacrificio delle vittime innocenti riconoscendo il "Martirio" della Vostra comunità. Questo per noi è già avvenuto.
L'ex nemico teutonico, nella persona del Presidente della Repubblica Federale di Germania (Johannes Rau) il 17 aprile 2002 è salito fino a San Martino (luogo maggiormente colpito dalla violenza nazista) per incontrare gli scampati alla strage e i parenti delle vittime, per chiedere loro "perdono", accompagnato dal presidente Ciampi.
Era il minimo che potesse fare !
Spero che questo possa avvenire anche per Voi.
Soggiungo che, in occasione delle dispendiose manifestazioni per il 150° dell'Unità d'Italia, nella nostra Valle del Reno si è voluto ricordare il 150° dell'inaugurazione della Ferrovia-Porrettana. In bella mostra personaggi epocali e villici in costume, popolo plaudente e Sindaci della valle a fare ala alla imbandierata vaporiera in transito.
Al figurante Re Vittorio Emanuele Il' ho platealmente consegnato la lettera allegata, che ha creato un po' di scalpore.
Negli incontri che terrò a Monte Sole, siate certi che ricorderò Pontelandolfo.
Cordialmente,
(cav.uff. Gian Paolo Frabboni) Marzabotto, 14 agosto 2011
Sull’argomento storico che ha coinvolto Pontelandolfo fu anche prodotto un film
poi divenuto introvabile di cui metto il link per il trailer e per la visione integrale del film in 13 parti da circa 10 minuti ciascuna.
Trailer film “li chiamarono briganti”
http://www.youtube.com/watch?v=JkU_3w9P4Zs
Li chiamarono... briganti! è un film storico diretto nel 1999 da Pasquale Squitieri, incentrato sulle vicende del brigante lucano Carmine Crocco e della sua banda. Venne subito sospeso nelle sale di proiezione ed è, attualmente, di difficile reperibilità. Ciononostante, il film è divenuto un importante punto di riferimento per i sostenitori del revisionismo risorgimentale, inoltre ha riscosso un grande successo in alcuni convegni e università.
È prettamente un film revisionista, volto a raccontare un'altra versione dei fatti avvenuti poco dopo il Risorgimento, in special modo nel meridione. Gli eventi narrati forniscono un quadro generale della situazione nell'immediato periodo posteriore all'unità, dove vengono illustrate in maniera cruda le atrocità che l'esercito piemontese perpetrò nei confronti delle popolazioni lucane. Tra queste: stupri, eccidi di massa compiuti in nome del diritto di rappresaglia e decapitazioni di alcuni briganti, le cui teste furono messe in mostra per intimorire le popolazioni locali.
Quest'episodio fa riferimento ad una pratica effettivamente utilizzata durante la repressione del brigantaggio, documentata attraverso testimonianze fotografiche e bibliografiche. Inoltre Squitieri mette in luce altri aspetti di questa controversa pagina storica come i contatti tra governo sabaudo e criminalità organizzata per acquietare le rivolte e le conseguenze negative dell'unità d'Italia che si abbatterono nel sud della penisola: la questione meridionale e l'emigrazione.
link per la visione integrale del film in 13 parti da circa 10 minuti ciascuna.http://www.youtube.com/watch?v=oSqcbIeD2Dw Prima parte
http://www.youtube.com/watch?v=puGst7hHRQk Seconda parte
http://www.youtube.com/watch?v=ODSWQfv0O5s Parte terza
http://www.youtube.com/watch?v=bq1DpHlygCU Quarta parte
http://www.youtube.com/user/sudnelcuore#p/u/20/H0J62Zr8qLQ Quinta parte
http://www.youtube.com/user/sudnelcuore#p/u/19/ZakQprOaP_k Sesta parte
http://www.youtube.com/user/sudnelcuore#p/u/18/thoXf-FHl1I Settima parte
http://www.youtube.com/user/sudnelcuore#p/u/17/opUoaD55XOQ Ottava parte
http://www.youtube.com/user/sudnelcuore#p/u/16/JW9bQybJ4q8 Nona parte
http://www.youtube.com/user/sudnelcuore#p/u/15/M5IXNcgwOk4 Decima parte
http://www.youtube.com/user/sudnelcuore#p/u/14/UhmtiTG6tbM Undicesima parte
http://www.youtube.com/user/sudnelcuore#p/u/13/7T_6WEtaEmE Dodicesima parte
http://www.youtube.com/user/sudnelcuore#p/u/12/Dyc_JjZ89Go Tredicesima parte
Copia della lettera inviata da Frabboni al Re d'Italia
Nella Fotografia il nostro concittadino Gian Paolo Frabboni davanti alla quercia (molto vecchia e grande) che si trova all'inizio della piana di Traserra (in via Boschi).
Qui alla sua ombra riposava l'antico Sindaco Amedeo Nerozzi, del quale Frabboni ne ha redatto un opuscolo con la biografia nel settembre 2008, per conto dell'Amm.ne Comunale di Marzabotto.
CHI E’
Gian Paolo Frabboni ?
Un anziano impiegato-pensionato, 77/enne, cittadino marzabottese. Da sempre fustigatore dei potenti e prepotenti; con una esperienza giovanile nel Tribunale Militare di Taranto;
- segretario diocesano della Giac (gioventù italiana di azione cattolica);
- segretario della sezione politica A. Di Dio (in contestazione con la linea prov.le);
- Cavaliere al merito della Repubblica (1970: presidente Saragat);
- Ufficiale al merito della Repubblica (1976: presidente Leone);
- per circa 20 anni eletto nel Quartiere “Porto” a Bologna;
- consigliere, vicepresidente e, infine, presidente del Quartiere (verso la fine legislatura 1999 il presidente in carica si dimise anticipatamente e Frabboni, vicepresidente, immediatamente “assunse la presidenza” senza procedere alla elezione del nuovo presidente, mantenendola fino ad oltre metà luglio, in occasione dell’elezione del nuovo subentrante;
- ha deciso la parziale distruzione del giardino della scuola materna “Andersen”, a Bologna, perchè costituiva pericolo per l’incolumità dei fanciulli-utenti (insieme al palazzo di viale Silvani- dell’arch. Leone Pancaldi- era considerata opera d’arte);
- pochi giorni dopo la sua prima elezione ha provocato la chiusura (per due anni) della nuova-sede dell’unificato quartiere Marconi-Saffi (“Porto”) perché non a norma;
- terremoto in Friuli: insieme ad altri ex militari è stato là inviato dalla Prefettura;
- collaboratore volontario chiamato da tre Sindaci: De Maria, Masetti, Franchi;
- ha recuperato documenti “riservati” sulle vicende di “Monte Sole” redatti dal Segretario Comunale di Marzabotto e dal Prefetto di Bologna nel 1944;
- ha redatto notizie e informazioni sul Sindaco, anteguerra, Amedeo Nerozzi per celebrare il 70/simo della morte dell’eroe (libretto);
- ha raccolto e redatto notizie necessarie per la intitolazione della strada “Nerozzi” e della piazza “Grilli”, in Pian di Venola (libretto);
- ha relazionato, per la Giunta di Marzabotto, sulla vita di don Giorgio Muzzarelli per l’assegnazione al sacerdote delle “chiavi della città”. Atto mai compiuto, nella Valle del Reno per nessun altro personaggio;
- ha operato per creare sinergia fra il parroco di Sperticano e l’Amministrazione Comunale perché, dopo 60 anni di totale mutismo, la campana di quella Chiesa potesse risuonare nella valle “tutte le sere”, al tramonto, per richiamare l’attenzione di quanti la odono, in ricordo di tutte vittime di “Monte Sole”;
- ha creato l’occasione perché nella ricorrenza del 60/esimo del ritrovamento del corpo di don Giovanni Fornasini (1945) fosse l’Amministrazione Civile e Militare a “commemorarlo” (libretto);
- ha creato l’occasione per l’ormai tradizionale ricorrenza della “Prima Strage di Marzabotto” nella località Faggiolo;
- è guida a Monte Sole;
- sei mesi fa, al passaggio del primo aereo militare sul nostro territorio, che solcava i cieli con intenzioni “non amichevoli” (verso un paese “non in guerra con noi), ha indotto gli alunni delle scuole da lui accompagnate sul vasto territorio del Martirio e i gruppi di adulti in visita, a suonare, “in antitesi al sibilo degli aerei”, la CAMPANA della PACE esistente a Casaglia. Sempre si è avuta soddisfazione e interesse per quei significativi rintocchi sonori.
- Tutti hanno sempre acconsentito perché non è “con le bombe che si porta aiuto e solidarietà ad un popolo in lotta” ma è un’azione ostile che costituisce, invece, vilipendio alla dignità umana;
- si rende ancora disponibile per atti e interventi a favore dei propri concittadini.