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Temistocle Testa

 

Una foto tessera del Prefetto Temistocle Testa conservata nell'archivio del Giornale d'Italia, presso la Biblioteca comunale G. C. Croce di San Giovanni in Persiceto. Il Prefetto Testa in abito nero al Campo di Concentramento di Ruscio (Perugia) in occasione della visita del Nunzio Apostolico Francesco Borgoncini Duca, incaricato dal Papa di visitare i campi di internamento fascisti (quello di Pissignano fu visitato il 9/12/1942). Il Capitano di Fanteria potrebbe essere il comandante del campo Arnaldo Mutti. http://www.proruscio.it/index.php?option=com_content&task=view&id=619&Itemid=111

 

Da Ricerche Storiche – rivista di Istoreco - n° 101 Aprile 2006 – Il Prefetto Testa - Ugo Pellini

 

Riporto quasi integralmente questo articolo di Ugo Pellini e se interessa segnalo che l’articolo è disponibile in rete all’indirizzo:

http://www.istoreco.re.it/public/isto/rs101OCRlow275201110112.pdf

 

[….] Temistocle Testa è nato a Grana Monferrato (AT) 1'11 novembre 1897; suo padre è un notaio molto conosciuto in tutta la zona. Combatte nella guerra mondiale con il grado di sottotenente. Agli inizi degli anni Venti si trasferisce a Modena per seguire il fratello Ulisse, libero docente presso la clinica di Neuropatologia dell'Università di Modena, e si laurea in Giurisprudenza all'Università di Modena. Squadrista della primissima ora, s'iscrive al Partito fascista il 10 febbraio 1921; un anno dopo, nel gennaio del ’22, nel corso dell'assemblea che designa i componenti del nuovo direttorio del Fascio cittadino, viene eletto vicesegretario. In questo periodo non si contano le aggressioni e i pestaggi a dirigenti e militanti socialisti e comunisti. A giudizio del Questore, Ercole Schiavetti, queste aggressioni non sono frutto di scelte individuali, ma la conseguenza di disposizioni impartite dai dirigenti del Fascio. "Per questo, con una lettera al Procuratore del Re, Schiavetti denuncia per istigazione a delinquere i componenti del direttorio del fascio cittadino, il federale Zanni e il vicefederale Testa”. Per tutta la primavera e l'estate del '22 si susseguono episodi di violenza squadristica contro persone e cose; alcuni assumono l'aspetto di veri e propri atti di barbarie, come a Quartirolo di Carpi, dove gli squadristi irrompono in una casa colonica, dove si svolgeva una festa danzante di giovani minorenni, uccidendone uno e ferendone gravemente un altro. A San Venanzio di Maranello i fascisti uccidono nell'osteria del paese due inermi cittadini. Comandante delle Legioni modenesi nella marcia su Roma, due mesi dopo l'istituzione della MVSN (Milizia volontaria per la sicurezza nazionale - gennaio '23) assume il comando della 73a legione "Boiardo" di Mirandola. Passa indenne da una tempesta che scuote la legione in seguito alla barbara uccisione, ad opera di alcuni militi da lui dipendenti, di un inerme barrocciaio di Medolla. Nel 1928 diventa segretario federale del Fascio di Modena: "Vanta una lunga esperienza politica militare e grazie al suo carattere deciso ed autoritario è ritenuto capace di fare rispettare la disciplina di partito anche agli iscritti più irrequieti e litigiosi», scrive di lui Pietro Alberghi in Modena nel periodo Fascista [….]. Anche i fascisti della prima ora, che hanno salutato con sollievo la sua nomina, non tardano a rendersi conto che la situazione è rimasta praticamente immutata, che, anzi, i suoi metodi autoritari e il suo protagonismo hanno finito per soffocare ogni residua forma di dibattito all'interno del partito. All'Archivio di Stato di Modena risulta che Testa è stato denunciato, nel 1929, per truffa da Angelo Gozzi e Francesco Malavasi.

Il Federale diventa Prefetto

Il 16 febbraio 1931 il Testa è nominato prefetto a Perugia, dove rimane fino al 16 ottobre del '32; in questa data viene trasferito ad Udine e, fino al 20 febbraio del '38, riveste la carica in questa città. Viene a questo punto trasferito a Fiume, dove rimarrà fino al fino al 1 febbraio del '43. A Fiume si dimostra particolarmente ligio nell'applicare il Regio Decreto del 5 settembre 1938, quello delle leggi razziali. La comunità ebraica di questa città conta millecinquecento persone e si ingrossa man mano che passano i giorni per l'arrivo in città di profughi ebrei dalla Croazia e dalla Galizia, ove per loro la vita è ancora più difficile. Pochi giorni dopo l'entrata i guerra dell'Italia al fianco dei tedeschi, nella notte tra il 17 e 18 giugno 1940, Testa ordina una retata di tutti i residenti ebrei, di sesso maschile e di età superiore ai 18 anni di Fiume ed Abbazia, che vengono trasportati nella scuola elementare di Torretta. Questa retata sarà criticata dalla stesso Ministero dell'Interno. Secondo diverse testimonianze di imprigionati i fermati sono circa cinquecento, metà sono rilasciati dopo due o tre settimane senza alcuna formalità, l'altra metà è inviata nei campi di concentramento in varie località d'ltalia. Per disposizione di Testa, che funge pure da Commissario di Stato per i territori jugoslavi aggregati alla provincia di Fiume, anche gli ebrei che fuggono dalla Croazia devono essere arrestati, se presi in territorio italiano. Temistocle Testa, un funzionario che dell'antisemitismo ha fatto una bandiera, scrive al gabinetto del ministero dell'Interno il 21 ottobre 1940: "Fiume è forse l'unica provincia che non permette la chiusura al sabato e alle altre feste, oltre ad aver chiuso definitivamente tutti i negozi ebraici di Abbazia, ma ha anche il primato di 200 ebrei internati. Proprio con questo prefetto di Fiume deve fare i conti il vice-commissario di polizia Giovanni Palatucci, che pagherà con la morte a Dachau il suo impegno per salvare gli ebrei di tutta la zona. Palatucci, per il quale è stata avviata la causa di beatificazione, riesce ad inviare a Campagna, sotto la protezione dello zio Vescovo, un consistente numero di ebrei istriani, che avrebbe dovuto invece arrestare e deportare. I suoi interventi, indiretti e nascosti, sono volti a rendere inoperanti le disposizioni che vengono dalla Questura e in modo particolare dal prefetto Testa.

La guerra volge al peggio, la Repubblica di Salò

Il 10 febbraio 1943 Testa è sostituito come prefetto di Fiume e collocato a disposizione; in seguito viene nominato Alto commissario in Sicilia: lo sarà fino all'arrivo degli Alleati. Scrive di lui Alfio Caruso: «Nonostante la presenza di un energico Alto Commissario, il prefetto Testa, fino al 9 luglio si registrarono gelosie e ripicche tra autorità fasciste e autorità militari. Che Testa sia un alto gerarca del regime ormai in crisi è testimoniato da un altro importate personaggio della seconda guerra mondiale: il Colonnello delle SS Eugen Dollmann, interprete degli incontri tra Hitler e Mussolini e uomo di fiducia in Italia di Himmler. Scrive, infatti, Dollmann:

Ai primi di aprile del '43 alla stazione Tiburtina di Roma, il Duce che sta per partire per un famoso incontro con Hitler, è avvicinato dall'inatteso e nervoso ex prefetto di Fiume Temistocle Testa armato di una borsa gonfia di documenti, che volle parlargli d'urgenza.

Quando il treno fu in moto, trapelarono dettagli, più tardi integrati dallo stesso Testa, secondo i quali la conversazione aveva avuto lo scopo di esortare il duce a non tornare ancora una volta a mani vuote dall'incontro con Hitler, e ad insistere affinché si concludesse con la Russia l'armistizio o la pace, altrimenti rientrando in Italia non avrebbe più lasciato da uomo libero, come lo zar Nicola, il treno speciale, non potendosi assumere garanzie. Con la caduta del fascismo del 25 luglio il "dinamico e intraprendente Testa" non si perde d'animo: «non è passata mezz'ora dall'annuncio del capovolgimento - scrive Silvio Bertoldi - e già telegrafano Ricci, Bottai, ... Temistocle Testa, pregando di poter restare ai loro posti. Solo quattro giorni dopo lo storico giorno, Testa avvicina Dollmann e gli chiede di incontrarsi con il generale Giuseppe Castellano, uomo di fiducia del Capo di stato maggiore, generale Vittorio Ambrosio. L'incontro si svolge lo stesso pomeriggio all'albergo Ambasciatori: Castellano assicura Dollmann che la caduta del fascismo è una faccenda interna italiana e esorta i tedeschi a non trarre da questo avvenimento deduzioni allarmanti. E’ sempre Testa a combinare un altro incontro tra i due: questa volta Castellano prende l'iniziativa del colloquio e chiede conto degli scopi e della ragione dei movimenti delle truppe tedesche in Italia. Il tedesco propone che si incontrino Keitel e Ambrosio, e conclude chiedendo se l'affermazione di Badoglio che «la guerra continua» ha subito modifiche; l'italiano nega. Testa entra nelle grazie dei tedeschi; «Dopo l'incontro - è Dollmann a raccontarlo - chiesi a Testa una garanzia esplicita dell'attendibilità delle parole del generale e siccome il prefetto si disse pronto a garantire con la propria vita, si rafforzò in me la convinzione che quanto aveva detto Castellano fosse vero. Sarà poi lo stesso Castellano, per conto del Governo Badoglio, a firmare a Cassibile, il 3 settembre 1943, l'armistizio dell'Italia con gli Alleati. Dopo poche settimane ritornano i fascisti e, nella neonata Repubblica di Salò, Testa diventa Capo dell'ufficio intendenza del ministero dell'Interno; per dirla ancora con le parole di Dollmann: "dittatore dei trasporti, con alle sue dipendenze i convogli automobilistici vaticani”. Nell'ambiente romano si muove benissimo, ha ottimi rapporti con i tedeschi, in modo particolare con il colonnello Dollmann, è in contatto con il Vaticano ed è l'uomo di fiducia del ministro dell'Interno, Guido Buffarini Guidi.

 

Con la Liberazione di Roma Testa segue Dollmann a Firenze; qui il tedesco chiede a Buffarini Guidi, tornato in auge, di avere come "fiduciario", l'ex prefetto di Fiume. Dollmann lo vuole al suo fianco affinché lo metta in contatto con il cardinale di Bologna, Nasalli Rocca, e con il clero dell'Emilia Romagna. La sua nuova attività a Reggio Emilia Testa arriva a Reggio il 21 luglio 1944, sempre con Dollmann; i due si insediano nella villa Brazzà di Roncina. Le cose si stanno mettendo male per i nazi-fascisti e Dollmann e il suo "fiduciario" cominciano a pensare al loro futuro; il 14 ottobre 1944 è Testa in persona a recapitare al colonnello delle SS il documento del cardinale di Milano Ildebrando Schuster, considerato inizio delle trattative di resa dei tedeschi agli alleati. A consegnarlo a Testa è stato il "suo" capitano Ghisetti, agente OSS, che ha seguito i due in Alta Italia per ordine dei servizi segreti; Ghisetti lo ha a sua volta ricevuto da monsignor Bicchierai, segretario di Schuster. In questo documento si chiede ai tedeschi di salvare le industrie del Nord, in cambio di una tregua da parte dei partigiani; questo accordo non va in porto, ma è la premessa per l'avvio dei rapporti che porteranno Dollmann e il Generale Wolff a Zurigo a trattare direttamente a Lugano, con Allen Dulles, la resa dell'esercito tedesco in Italia. Anche a Reggio Dollmann, sempre servendosi di Testa, cerca di acquisire dei meriti nei confronti dei partigiani e degli alleati; evita la fucilazione dei partigiani del Comando di Piazza di Reggio, catturati dai fascisti e condannati a morte. Convoca, infatti, una riunione a Parma dove impone ai fascisti la sospensione della pena per Calvi di Coenzo, Prandi e Ferrari; solo il comunista Zanti sarà fucilato. Questi saranno trasferiti prima a Parma, poi, grazie sempre a Ghisetti, a Verona dove saranno rilasciati con tante scuse pochi giorni prima della fine della guerra. In questi giorni anche Testa cerca "benemerenze" ed evita la fucilazione per un altro partigiano, Sergio Ghinolfi, che diventerà l'autista di Dollmann. Salva dalla brigata nera anche il capitano inglese Tuckler e don Giovanni Barbareschi, che avevano in animo di coinvolgere il Maresciallo Graziani nella resa degli italiani. Li fa ricevere da Wolff che farà passare in Svizzera l'emissario alleato. Siamo nella primavera del ‘45e Testa, come abbiamo visto all'inizio di questo lavoro, si incontra a Baiso con i partigiani; in realtà è davvero in contatto con il generale delle SS Karl Wolff e con il cardinale Schuster e forse ha in animo di ottenere qualche cosa per un eventuale accordo. L'incontro tra il Wolff e il Cardinale, fissato per il 12 aprile, viene rinviato al 21, ma ormai è tardi perché la guerra in Italia finisce proprio in questi giorni.

L'arresto e la morte

Nei primi giorni dell'insurrezione Testa si costituisce spontaneamente alla Questura di Milano; arrestato e consegnato alla camera dei detenuti è in seguito inviato alle carceri di San Vittore. Come si legge dalla cronaca del giornale "L'Unità democratica" del 10 agosto 1945 i signori Malavasi e Vaccari lo prelevano da San Vittore, ma non lo traducono alle carceri di Modena, città che invoca la sua presenza per i crimini commessi, lo trattengono invece in un locale privato. Per questa violazione della legge si rende necessario un accertamento: da questo il loro fermo e il conseguente rientro del Testa a San Vittore. Successivamente la questura provvede, con i suoi agenti, alla sua traduzione a Modena e alla consegna alla Corte di Giustizia. A Modena però non verrà processato; il 17 novembre 1945 il prefetto di Modena, Zanetti, risponde alla Commissione dell'epurazione del ministero dell'Interno che: “il dr Testa” a quanto risulta a questo ufficio sarebbe attualmente rinchiuso nelle carceri di "Regina Coeli".

Sicuramente anche il governo Jugoslavo ha richiesto la sua estradizione per i crimini commessi in Istria; sappiamo però che nessuno dei circa settecentocinquanta criminali di guerra italiani richiesti è stato consegnato alle autorità jugoslave. Temistocle Testa nell'elenco dei nominativi sottoposti alla commissione inchiesta per i presunti criminali di guerra italiani è inserito tra i ventinove deferiti (situazione al 23 marzo 1948); centotrentatré sono i discriminati, sei i sospesi.

Di Testa sappiamo che è morto il 17 luglio 1949, suicida, come riferisce nel suo libro Elena Curti.

 

 

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Altri articoli che riguardano l’ex prefetto di Fiume Testa sono disponibili in rete. Per esempio cito una parte dell’articolo di Claudia Cernigoi, giornalista e scrittrice di Trieste, disponibile integralmente al sito: http://www.resistenze.org/sito/te/cu/st/custbg18-009393.htm .

 

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Un altro genere di informazione che si trova nelle memorie storiche riferite all’ex prefetto Testa sono le allusioni ed i sospetti di arricchimento illecito. In una intervista di Alessandro Cassin a Marco Coslovich, scrittore che si è occupato del caso Palatucci, commissario di pubblica sicurezza ricordato per aver salvato dalla deportazione migliaia di ebrei e per questo fu deportato egli stesso nel campo di concentramento di Dachau, dove morì, si esprime così:

Alessandro Cassin: Fiume ha una storia particolare, all’incrocio tra Italia, Mitteleuropa e Balcani. Pensi che Palatucci ne abbia compreso e apprezzato l’eccezionalità?

Marco Coslovich: Una volta che arriva a Fiume tenta ripetutamente di farsi trasferire. Fiume è una città non facile, sotto un certo punto di vista è molto poco italiana. Vive Fiume come un esilio tant’è che fa domande continue di trasferimento. Vuol andarsene, a Milano, a Torino, vorrebbe una grande città del nord, non certo l' “adorata” Irpinia. Richiede il trasferimento sei o sette volte. 

Il suo problema è che è in mano a Temistocle Testa il Prefetto fascistissimo e antisemita di Fiume che non lo molla. Testa lo colloca in posizioni molto delicate come l’ufficio stranieri della Questura e ne fa una pedina irrinunciabile. Poi, durante la guerra, lo colloca nella commissione censura in maniera da intercettare tutte le lettere provenienti dal fronte e non solo. Testa, è stato dimostrato, ricattava uomini d'affari e tutti coloro che avessero in qualche modo a che fare con il business della guerra: vettovagliamento delle truppe, logistica, beni sequestrati ecc. Con questo sistema ha accumulando fortune personali vastissime. Testa blocca ogni tentativo di trasferimento di Palatucci elogiandolo e affermando che è il più bravo e il più competente tra i suoi funzionari. E’ chiaro che retrospettivamente queste qualifiche questi elogi di Testa non depongono a favore di Palatucci.

 

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Ancora sul tema degli arricchimenti illeciti di Temistocle Testa. Dal libro “F. Gnecchi Ruscone, Missione Nemo”, Mursia 2011, p. 239, leggiamo un “promemoria” inviato nell’autunno 1945 al maggiore Marchesi (dirigente di un Gruppo speciale del SIM del Regno del Sud) relativamente a Temistocle Testa, denunciato dagli Alleati per i crimini commessi quando era prefetto di Fiume e del Carnaro.

“Testa Temistocle, ex prefetto fascista ed ex alto commissario per la Sicilia: (già incluso nell’elenco dei criminali di guerra) Ha fatto una carriera velocissima, capo manipolo della MVSN, centurione, seniore, console, infine segretario federale, prefetto di Fiume alto commissario per la Sicilia. Come prefetto di Fiume ordinò e diresse personalmente persecuzioni in grande stile contro gli elementi antifascisti. All’atto dell’occupazione della Jugoslavia ebbe dal governo una fortissima assegnazione (centinaia di milioni) per acquisto per conto del governo di bestiame e legname in Jugoslavia. Di dette somme non diede mai conto. Poco dopo acquistò a suo nome le tenute di Maiana della Porretta e vastissimi possedimenti in Africa e altre tenute in Italia. Caduto il governo Badoglio ritornò a galla dopo l’8 settembre come capo del commissariato per i trasporti dell’Urbe. Durante questo periodo le attività del Testa sono moltissime e tutte poco oneste. In combutta con il commissario di PS Senatore Francesco, pare vendesse per conto proprio le auto requisite per conto del governo. È segnalato alla sezione CS come collaboratore della squadra di polizia fascista comandata dal famigerato Koch (…) durante questo periodo è stato incarcerato dalle SS perché ritenuto implicato nella fuga di Edda Ciano in Svizzera. Subito dopo però rimesso in libertà. È fuggito da Roma il 3 giugno 1944. Individuo di intelligenza, furberia e capacità eccezionali. Privo di scrupoli e avidissimo di denaro, si è sempre servito delle sue doti per moltissime attività disparatissime e tutte disoneste, me che hanno sempre finito per impinguargli il portafogli. Individuo da trattare con le molle.” 

 


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Dell’acquisto delle Terme di Porretta parla anche il figlio di Testa, Gian Paolo, nel suo libro di memorie “il compagno e la camicia nera”:

“Il vero anno di svolta per la mia famiglia fu il 1942. Risale infatti a quel periodo I'interessamento dei miei genitori per leTerme di Porretta. Mia madre Laura era in attesa di Cesare, il quinto figlio, e il professor Baccialli, noto luminare della medicina,le suggerì un centro termale per le cure ginecologhe. Le indicò così un paese delI'Appennino tosco-emiliano situato a una sessantina di chilometri da Bologna e a trenta da Pistoia,le cui acque erano considerate ottime: PorrettaTerme. Grazie alle sue Terme e alla loro blasonata e plurisecolare storia, incastonata in uno splendido squarcio dell'Appennino, Porretta era allora una vera e propria perla. La Direzione e gli alberghi della Società delleTerme, in perfetto stile Liberry e situati proprio alla sommità del centro storico, avevano vissuto il loro momento di massimo splendore all'inizio del Novecento quando un pezzo significativo dell'aristocrazia italiana, ivi compresi esponenti della Real Casa,l'avevano eletta a loro ritrovo estivo, attratti appunto dalle sue celebri acque termali. Lasciando così in quest'angolo dell'Appenino un po'di quell'atmosfera da Belle Epoque in minore che, alf inizio degli anni Quaranta, si poteva ancora respirare. Porretta, inoltre, non era importante solo per il suo centro stile Liberty e per le sue Terme, ma anche perché snodo centrale del tratto di ferrovia che collegava Bologna a Firenze, ovvero il Nord e il Centro Italia. Dopo il primo soggiorno nell'estate del 1942 e dopo il primo ciclo di cure, mia madre s'innamorò del posto e, data l'effettiva qualità delle acque termali, da donna intelligente e perspicace qual era, intuì quasi subito la potenzialità di un investimento in quel settore.

Del resto, la società proprietaria delle Terme, in quel frangente, non viveva un periodo d'oro e così mia madre convinse mio padre a interessarsi all'acquisto della società stessa. Fu così che, dopo la nascita di Cesare, avvenuta a Bologna nell'estate del 1942, la mia famiglia decise di impiegare I'eredità ricevuta dalla morte di uno zio, rilevando la Società delle Terme per tentarne il rilancio. Chiaramente le conoscenze di mio padre, ancora prefetto di Fiume e futuro alto commissario civile in Sicilia, favorirono I'operazione e la prospettiva di attirare capitali e investimenti in un'operazione in cui mia madre credeva moltissimo. Nell'estate del 1942 lasciammo quindi Fiume per trasferirci a Porretta Terme.

 

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Un’altra testimonianza viene da un articolo del ricercatore storico siciliano Casarrubea su la Repubblica del 7 Settembre 2003, che si occupa del generale Castellaro, che il 25 Luglio firmò l’armistizio di Cassibile.

 

Tutte le trame di Castellano l' uomo che voleva rifare l' Italia

Repubblica del 7 Settembre 2003

I Servizi segreti americani lo giudicavano un «cervello da bambino», uno con poco sale in zucca e grande potere. Giuseppe Castellano fu in realtà un personaggio tutt' altro che carente sul piano dell' intelligenza. Ebbe semmai il limite di rappresentare l' immagine di un' Italia ancora inesistente. Perché non poteva essere considerata esistente l' Italia di quel regime agonizzante, già in disfacimento irreparabile nel 1942. Perciò sia lui che molti suoi amici si erano dati da fare, immaginando magari una sorta di fascismo senza Mussolini o una nuova patria legata a nuove fedi tutte da inventare. Così Castellano, uomo di fiducia del generale Vittorio Ambrosio, cominciò a tessere la tela. All' inizio del ' 43, tramando con Galeazzo Ciano, genero di Mussolini, fece sostituire Ugo Cavallero, capo di Stato Maggiore dell' Esercito, con Ambrosio e puntò dritto alla caduta del regime. Poi mise mano alle congiure. Non ebbe difficoltà a trovare gli uomini giusti. Nel Partito fascista, Dino Grandi e Ciano calzavano a pennello: anglofilo e forse massone il primo, aveva cominciato la sua fronda contro il duce già alla fine del ' 42; aristocratico antitedesco il secondo. Ciano aveva rotto con Mussolini dimettendosi da ministro degli Esteri ed era diventato ambasciatore italiano in Vaticano. Poteva contare poi su Casa Savoia, dal re in persona alla principessa Maria Josè e Badoglio, numero 33 della Massoneria italiana. Cosa lega tutti questi signori? Per dare una risposta e capire il senso del breve percorso che conduce dal 25 luglio all' armistizio di Cassibile, sottoscritto da Castellano, è necessario considerare certi antecedenti. L' Italia nel ' 42 era un paese allo sbando e qualcuno responsabilmente si sentì in dovere di pensare al presente guardando al futuro. Iniziò allora la storia ipogea del 25 luglio: non un fatto interno al fascismo morto, ma un processo vivo che da questo cadavere doveva far nascere una nuova Italia, inedita nelle sue forme politiche. L' alleanza sotterranea collegava Papa Pacelli e il cardinale Giovanni Battista Montini a Myron Taylor (ambasciatore Usa presso il Vaticano fin dal ' 39). I loro referenti naturali in America erano don Luigi Sturzo da un lato e William Donovan ed Earl Brennan dall'altro, cioè i capi dell' Office of Strategic Services a livello mondiale. Fu il cattolicesimo, in quello sfascio, a interpretare i destini della nuova Italia. Non nel senso che non ci fossero le altre forze, ma in quello più preciso che solo quelle legate a quel mondo e ai suoi intrecci con l'occidentalismo, furono capaci di fondare l'Italia dei decenni successivi. E Castellano fu uno strumento determinante di questa dinamica. Tanto che le sue trattative con gli angloamericani cominciarono prima a Madrid con l' ambasciatore inglese Hoare e poi a Lisbona con i generali Smith e Strong, rispettivamente dell'Esercito americano e inglese. In un documento del 10 dicembre '43, Vincent Scamporino, giovane capo dei servizi segreti americani in Sicilia scriveva a Brennan (Washington) che Castellano era «preoccupato per l'influenza britannica sul movimento separatista» e che i capimafia «sapevano quello che facevano a proposito dei britannici». Il giovanotto, dal suo osservatorio segreto, riferiva, inoltre, per evitare malintesi, che il generale aveva «buoni contatti» con quei signori col cappello dall'aria tranquilla. Erano quasi la personificazione della pax sociale che ci voleva nel gran tumulto di allora.

Castellano sapeva soprattutto che se l'Italia doveva essere salvata dal comunismo, era necessario che i grandi proprietari terrieri si organizzassero «dietro le quinte per influenzare i contadini». «I proprietari - scriveva - devono finanziare la nascita di un partito in Sicilia e poi portarlo al resto d' Italia. Tale formazione dovrà mantenere la monarchia e allearsi alla Chiesa. L' organizzazione del partito verrà affidata al clero. L' obiettivo principale di questo partito sarà quello di opporre la classe contadina del Sud al Nord industrializzato, dove il comunismo italiano è nato». Sono i presupposti della nascita, nel 1944, del Fronte Democratico dell'Ordine in Sicilia (Fdos), il cui rappresentante politico in Sicilia fu don Calò Vizzini, capomafia di Villalba. A buon motivo, quindi, un rapporto dell' Oss del 5 settembre 1945, traccerà un rapido quadro del nostro generale: «Castellano è un uomo di scarsa cultura e dalla dubbia morale. I suoi negoziati per l'armistizio hanno ritardato l' esito positivo della guerra, causando la rovina dell' Italia e provocando un danno di incalcolabili proporzioni agli Alleati». E ancora: «Castellano era fortemente legato al prefetto fascista di Roma, Temistocle Testa. Nel condurre i negoziati per l'armistizio, una cosa sola aveva in mente il generale: diventare il plenipotenziario italiano per essere libero di mettere in opera importanti operazioni finanziarie con Testa». Insomma, chi cominciava a ricostruire l' Italia fondava una nuova scuola di etica politica. Di fatto, abbastanza attuale.

GIUSEPPE CASARRUBEA

 

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Dallo stesso libro di Gian Paolo Testa già citato, si documenta la vicinanza del generale Castellano e della famiglia Testa. Nel 1949 il Castellano fu testimone alle nozze dello stesso Gian Paolo; inoltre “Quando mia madre tornò in possesso della proprietà della Società delle Terme, mio padre era già morto e il rapporto che lei aveva stretto con il generale Castellano divenne sempre più importante. Con lui condivise anche la responsabilità nella gestione della società termale

 

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Infine due parole sulle memorie del figlio di Temistocle Testa. Nel già citato libro non si fa alcun cenno sulla riunione del 10 Ottobre a Bologna. E’ possibile che il padre non ne avesse mai parlato in casa, ma dubito che Gian Paolo Testa ignorasse al momento della stesura del libro la partecipazione del padre alla riunione di Bologna convocata per discutere della strage di Monte Sole. La famiglia Testa, come racconta lo stesso Gian Paolo, era da tempo sistemata a Porretta Terme, e immagino che l’ex Prefetto di Fiume sia passato innumerevoli volte da Marzabotto, che si trova a metà strada fra Bologna e Poretta Terme.

Quindi sarebbe stato opportuno, a mio parere, che egli avesse dato atto almeno della conoscenza di quel fatto. Così rimane il dubbio che ci fosse un motivo per non parlarne. D’altra parte del racconto di Gian Paolo Testa [già citato] mi rimane una perplessità dove egli racconta che il suo passaggio dalle fila della X MAS al PCI fu indotto dall’ideale antiamericano che accomunava le due organizzazioni.

“Come ho già accennato,le mie frequentazioni romane di quel periodo mi avvicinarono gradualmente a una dimensione e a un impegno politico fino ad allora imprevedibili. Il triennio 1946-1948 segnò infatti un lento avvicinamento tra alcuni gruppi di militanti fascisti che avevano aderito alla Repubblica di Salò e la sinistra, in particolare al PCI. Molti ex repubblichini confluirono nel neonato Movimento Sociale Italiano, ma non pochi percepirono nella nuova formazione uno spostamento su posizioni conservatrici, filo-monarchiche e atlantiste (ritrovandosi così a braccetto con gli avversari di sempre, Stati Uniti e Gran Bretagna) contrarie alle istanze tipiche del fascismo delle origini. Istanze che, sia pur in modo diverso, apparivano declinate all'interno della visione del mondo di cui si faceva portavoce il comunismo.”

In realtà risulta alquanto chiaro dal racconto dello stesso Gian Paolo Testa che dopo la liberazione i suoi rapporti con i servizi americani, e con il Generale Castellano, che ad essi era molto vicino, fossero ben saldi. Altrettanto saldi erano i suoi rapporti con Dollmann, che ormai gravitava nell’orbita dei servizi americani:

A differenza della volta in cui mi trovai nella necessità di far scomparire il salvacondotto bilingue della Decima MAS mentre ero prigioniero dei partigiani, cercai di non scompormi e di recitare la parte fino in fondo. Dopo che gli uomini di Pagnotta ci ebbero identificati ed ebbero perquisito l'intero appartamento senza trovare nulla, fui invitato a scendere nel parcheggio sotto casa,

dove, in una macchina posteggiata, era seduto I'ex maggiore Wenner, ex capo di Stato Maggiore del generale Wolff, che viveva a Roma in incognito e, come Dollmann, era tutelato dai servizi segreti americani. Solo dopo aver ricevuto rassicurazioni direttamente da lui, consegnai i documenti, nei quali, al di là del pathos dettato dalla situazione, in realtà non c'era nulla di rilevante.

 

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Da “Missione Nemo” a cura di Mario Viganò.

Giuseppe Cancarini Ghisetti su Temistocle Testa (Modena, giugno 1981)

 

Temistocle Testa

Temistocle Testa è nato a Casal Monferrato in una famiglia della piccola borghesia; aveva numerosi fratelli e sorelle ed era destinato alla carriera ecclesiastica. Ma nel 1915 buttò tutto alle ortiche e si arruolò, volontario di guerra, nel Corpo di spedizione italiano in Francia, comandato dal ge­nerale Albricci, impegnato sul tratto più meridionale del fronte interalleato che andava, allora, press'a poco da Ca­lais a Verdun, a Digione. Fece la guerra da buon soldato, senza particolari meri­ti che non quello di essere stato il corriere materiale delle scartoffie asportate, nella notte ultima del carnevale 1917, dalla cassaforte dell'I.[mperíal] R. [egio] Consolato d'Au­stria di Zurigo. Un colpo di mano abilmente organizzato dall'allora console d'Italia, Aloisi, quello che doveva dive­nire quasi celebre, come ministro plenipotenziario presso la S.d.N. (Società delle Nazioni) al tempo delle sanzioni contro l'Italia: meritandosi «l'epitheton ornans» di colui che prende gli schiaffi con la imperturbabilità largamente superiore a quello del personaggio immaginato da Piran­dello.

Il Testa comparve a Modena nel 1919 o 1920 e si occupò, in qualità di istitutore, nel R. Collegio S. Carlo, che gli Estensi avevano fondato per farvi educare i rampolli della nobiltà, che a guerra finita andava risalendo la corrente verso il suo antico splendore. Assieme ad altri bravacci della sua specie, fondò il Fa­scio di Combattimento di Modena, di cui fu primo capo quel Guido Corni che finirà per diventare, passo dopo passo, Governatore della nostra Somalia. Il destino volle che i due uomini, entrambi molto ambiziosi, e di innegabi­li doti per avere diritto ad esserlo, procedessero poi avanti nella vita per due strade quasi parallele e convergenti verso una fine da tragedia. I due si fecero a vicenda tutto il male che si poteva fare in un ambiente piccolo e rissoso, com'era la Modena di al­lora: antireducista, antidannunziana e che veniva già co­vando i germi di quel socialismo ereditato dai Prampoliiii, dai De Ambris et similia che, mutatis mutandis, dovevano nel tempo addimostrarsi come le radici del comunismo pa­dano. Dopo il delitto Matteotti, il Testa console generale venne mandato a comandare la Scuola della MVSN di Mirandola, che era una specie di scuola di rieducazione di fascisti che, delle scaturigini avevano perduto la mistica memoria («chi non mistica non mastica»). E fu su questo campo di battaglia che Testa si guadagnò i galloni di segretario federale del PNF di Modena, dove poté dar sfogo alle sue piccole manie di sadico da quattro soldi.

A Mirandola si sposò con una ragazza, non bella ma molto piacente e molto ricca. Divenuta donna Laura Testa nata Calanca, fu, a tempo perso, l'amante del console gene­rale della MVSN (di nome Diamanti) allora comandante della Legione di Torino. Cavalleria vuole che ci si limiti a questo accenno ma qui sta la chiave della fine del Testa. Dal matrimonio nacquero tre figli: Giampaolo, che do­veva finire caporione di una cellula comunista del PCI a Roma; Italo, che doveva assumere la carica di Consigliere delegato della Spa Terme della Porretta. Della figlia si sono perdute le tracce. Per allontanarlo da Modena, Guido Corni lo fece nomi­nare prefetto e spedire, prima ad Udine, eppoi a Fiume, sempre scortato da quel Polito (si, proprio lui, quello della Montesi, quello di donna Rachele Mussolini, che accompa­gnava in un viaggio di traduzione da Roma alla Rocca delle Laminate).

Allo scoppio della nuova guerra (1940) il Testa si buttò in avanti, lungo il litorale istriano, dove si rese responsabile di qualche «crimine di guerra»; poi sazio, saturo di onori e di gloria, chiese al duce di mandarlo in prima linea, giù in Si­cilia, aggregato al comando della VI Armata. Ossia, a spia­re le mosse di quel generale Guzzoni la cui sola aspirazione era di riuscire a dimostrare una sua appartenenza alla nobi­le famiglia dei Guzzoni degli Ancarani e di portare in salvo il magnifico cronometro d'oro che ornava il suo polso e che faceva luccicare d'invidia gli occhi dell'ammiraglio Barone, che non voleva riconoscerne la superiorità, essendo lui – e secondo lui – la più alta autorità dell'isola, perché comandava il Marisicilia. Il gen. Guzzoni affidò al Testa il compi­to di presiedere ai rifornimenti alimentari, che venivano scaricati a Bagnara Calabra e traghettati al pontile dei Gan­zirri poco a settentrione di Messina, e qui ripartiti, come si poteva, per tutta la Sicilia.

(Nota, solo per chi vuole leggerla: Alimentari, per farina, che era monopolio della UCEPAF, ossia dell'Ufficio cerea- li, pasta e farina, presieduto da uno dei due celebri fratelli Pozzani – chiamato il generale Po – i cui sacchi dichiarati di peso kg 100 erano invece di 92 kg. Alla fine della guerra, i Pozzani, ricchissimi, diventarono i più grossi importatori di cereali con «banco» proprio al mercato mondiale di Win­nipeg. Comprova, semmai fosse ritenuta necessaria, della saggezza del pascià rosso di Giannina, il quale diceva: «Se un uomo arricchisce in un anno, dovrebbe essere impicca­to dodici mesi prima».) Chiusa parentesi.

La notte del 25 luglio 1943, Testa era appunto ai Ganzirri e, telefono in mano, assistette in ispirito alla seduta del Gran Consiglio del Fascismo perché, dall'altra parte – na­scosto fra due tende – c'era il capo della Polizia, generale Chierici che lo ragguagliava, minuto per minuto. Passata la burrasca dell'8 settembre, costituitasi la Re­pubblica di Salò, Testa riuscì a fare ritorno a Roma dove, col pieno appoggio dell'alleato tedesco – quivi rappresen­tato dal gen. Maelzer e dal colonnello delle SS Dollmann –venne incaricato, con pieni poteri, di provvedere ai riforni­menti della «città aperta» di Roma.

Con tutti i mezzi italiani a disposizione, con l'aiuto di mezzi di trasporto tedeschi, allora al comando del maggio­re di SM Schnell, il Testa, con l'etichetta di «Commissario italiano ai trasporti», fece del suo meglio perché i bravi ro­mani non morissero di fame. E ci riuscì trovando soluzioni impensabili, come quella di fare arrivare la farina fino ad Orte poi trasbordarla su barconi per trasportarla, per que­sta lunga strada, fino a Roma e scaricarla sul Lungotevere dell'Anguillara («o Roma od Orte»).

Donna Laura si era anche trasferita a Roma, ad abitare col marito, all'Hotel Plaza, dove alloggiava anche il fratello del ministro Buffarini, degli Interni (si fa per dire) perché i veri capi ne erano in realtà i signori Bernasconi, Carità e Kock che, è noto, ne fecero di tutti i colori. Da qualunque punto di vista lo si osservi, questo pe­riodo torna comunque ad onore del Testa che (il giudizio era dei tedeschi) impegnò ogni sua energia in una impre­sa disperata che, soltanto la tacita tolleranza della «Borsa nera» (che ai tedeschi ripugnava, in nome dei sacri princi­pi dell'89) permise ai quiriti di aspettare l'arrivo degli alleati.

Nota, come sopra: È così vero che, passato qualche tempo con l'autorità alleata, i romani presero a dire «Co­lonnello Charles Poletti, meno ciarle e più spaghettí».

 

Facciamo un passo indietro. A Roma, ancora i tedeschi, nauseati dalla corruzione che stava invadendo ogni attività del già inconsistente corpo della RSI, in un soprassalto di autorità, arrestarono e mandarono in via Tasso, tanto il Testa quanto il fratello del ministro Buffarini.

Per la verità non ne cavarono molto e, dopo una deci­na di giorni, li rimisero in libertà, dopo aver messo a sacco le cassette di sicurezza che i due si erano fatti dare all'Ho- tel Plaza. Verità della cronaca vuole che si dica – per chi ci crede – che donna Laura, in questa occasione, tirò fuori le unghie e dimostrò di essere una donna in gamba. Non esitò a farsi portare, dal devoto autista Arturo Fila, in via Tasso per dirne quattro al comandante. Fece di più: al Buffarini, che stava dicendo un cumulo di sciocchezze ad un sott'ufficiale tedesco (tale Fruehling, cioè Primavera) che, bene o male capiva l'italiano, menò un manrovescio sulla bocca che lo fece ammutolire fino alla fine della detenzione.

La notte tra il 3 e il 4 giugno 1944 Testa, che si era fatto precedere a Milano dalla famiglia, fuggì da Roma attraver­sando villa Ada, di cui era consegnatario SE (guai a non dirgli eccellenza ad ogni píè sospinto) [Pacchioni], che nato a San Felice sul Panaro, era conterraneo ed amicone di don­na Laura, ed era stato ministro d'Italia nientepopodimeno che a Kabul. Testa arrivò senza difficoltà a Perugia e di qui si trasferì a Firenze e quindi, reduce, dopo aver preso accordi a Salò col ministro Buffarini Guidi, si stabiliva a Milano in corso Buenos Aires n. 86. Qui ancora con la pomposa denominazione di Commis­sariato italiano trasporti, ricostituiva un conglomerato di eterogenei automezzi di cui non sapeva che cosa farsene perché, all'infuori delle poche gocce che riceveva dal RUK, non poteva disporre di altro carburante.

Ma, come piaceva a Dumas padre, facciamo un passo in­dietro. Nell'agosto del 1944 il Comando interalleato di Caserta ebbe istruzioni da Allen Dulles di «agganciare» il colonnel­lo delle SS Eugen Dollmann che, secondo lui, rappresenta­va l'anello più debole della catena nemica. L'incarico di organizzare l'operazione venne affidato al gruppo speciale dello SMRE comandato dal (famoso se­condo taluni, famigerato secondo altri) maggiore Marchesi e si svolse sotto l'etichetta di «Nemo Op Sand II» il cui co­mando venne affidato all'allora capitano di vascello Emilio Elia («Nemo») con piena libertà di scegliersi i collaborato­ri. I quali furono: il colonnello CCRR Anacleto Onnis («Zio»), il capitano CCRR Giorgio Manes («Giorgi» o «Fiore») (sì proprio lui, quello che divenne il comandante dell'Arma), il capitano Riccardo De Haag, il capitano di Ar­tiglieria alpina Giuseppe Cantarmi Ghisetti («Gamma»), l'on. Alberto Giorno («Corto») ed altri, prescelti di volta in volta per missioni di carattere speciale.

Una radiotrasmittente operava a Saronno, nascosta in un deposito di mobili usati. L'operatore era un sottufficiale dell'Aeronautica. Si chiamava Manzoni, era ravennate. Il collegamento fra Saronno e Milano era assicurato da «Rosetta», una bella ragazza romagnola che, a guerra conclusa, sposò il Manzoni. Hanno molti figli e vivono felici.

Agganciare prima Testa eppoi Dollmann, fu un gioco da ragazzi perché i due non domandavano di meglio. Testa diventò «Tau» e fu il tramite di un patto troppo ovvio per poter essere definito tacito, secondo il quale (let­terale) «dei criminali di guerra minori sarà tenuto conto, a seconda delle prove di buona volontà che daranno dal mo­mento fino alla fine delle operazioni». Si omette il resto. Il prof. G.[ianfranco] B. [fianchi] – al quale sono destinate queste note, sommarie, a memoria, senza il sussidio di documentazione – lo conosce bene, forse anche meglio di chi scrive. Il 25 aprile 1945, Emilio Elia («Nemo») venne nominato questore di Milano e, come tale, fece occupare tutti i gangli vitali della Polizia dai suoi uomini e fece custodire al 2° piano della Questura il Testa che, per telefono, continuava a dare ordini e contrordini, come se nulla di nuovo fosse accaduto. Nella prima settimana di maggio comparve in Questura un gruppetto di partigiani modenesi, comandati da un tale Marvertí (figlio di un avvocato che aveva vegetato sulla fama mal meritata di indomabile antifascista) che pretende­va la consegna del Testa, dichiarato dagli alleati criminale di guerra, per via dei fatti jugoslavi.

«Nemo» che (sia detto per inciso) era stato a Fiume il comandante dell'Arsenale, rifiutò la consegna con la pisto­la davanti sul tavolo, fino a che i postulanti se ne andarono. Poi, per maggior sicurezza, mandò il Testa a San Vittore.

Due settimane dopo ricomparvero i partigiani modene­si, questa volta muniti di un ordine del CIC (Counter Intel­ligente Corps) di Modena per la consegna del Testa «noto a questo ufficio quale criminale di guerra». Non c'era più niente da fare, ma «Nemo» non consegnò il Testa ai mode­nesi e lo fece tradurre a Modena e rinchiudere nel carcere di Sant'Eufemia da un ufficiale inglese, certo Podestà nati­vo di Malta, responsabile nell'ISLD dell'Alta Italia.

L'arrivo a Modena del Testa scatenò i sacri furori del lo­cale CNL e dei 5.000 partigiani, più o meno rossi, che ne costituivano la base operante e, solo in via esemplificativa, può valere quello che si verificò nel triangolo Castelfranco­Modena-Finale Emilia, detto con icastica efficacia «il trian­golo della morte». C'era qui un maresciallo dei Carabinieri, di estrazione sarda, di notevole ardimento e di rara tenacia, che, dai e dai, riuscì ad arginare le furie dei vendicatori ac­corsi, secondo un ben collaudato stile nostrano, a dare aiuto ai vincitori. Questo maresciallo aveva nome Caù.

Mentre quasi tutta Modena si preparava alla festa del processore a Testa, sul cui capo si scatenavano fulmini e saette, di ogni colore e specie, Allen Dulles, la cui memoria venne stimolata da «Nemo», si ricordò dell'impegno assun­to nei confronti dei «criminali minori» e mandò a preleva­re il testa, da S. Eufemia, da una squadretta dell'OSS (Ob­servation Strategie Service) [sic!] che lo trasportò nottetem­po a Roma nel carcere di Regina Coeli. Il solito malvagio destino volle che, a Roma, il questore fosse proprio ancora lui, Polito. Nonostante le ostili pre­mure di costui, Testa venne prosciolto dalle accuse, messo in libertà ma inviato al soggiorno obbligato di Soverato in Calabria, con la motivazione che la di lui presenza a Roma poteva essere una fonte di disordine ed una minaccia alla si­curezza pubblica di cui il Polito era l'angelo custode. E ancora il destino — oltre a mettere Testa, per tutta la vita ufficiale, contro Guido Corni — volle accanirsi contro di lui. Per i modenesi prima e per tutti quanti altri ebbero poi a fare con lui, qualunque cosa il Testa facesse o semplice­mente pensasse, era a priori azione di un ladro.

Quando si trattò di decidere se assolvere o condannare il Testa, uno dei pochi che, per ragioni di servizio, aveva do­vuto vivergli vicino negli anni più critici della sua vita e sof­frirne (non gioirne) l'intírnità, a domanda, rispose testual­mente: «Se Testa, in questi ultimi tre anni, ha rubato, io, che non ho mai detto niente sono un complice od un im­becille». Tertium non datur. [….]

 

 

 

 

   

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