jNews Module  




Joomla Extensions powered by Joobi
   

MODENA

 

 

 

 

Modena, vista da Medelana

 

 

 

Una immagine della torre della Ghirlandina presa da internet

 

 

TORNA AL MENU

 

 

 

Il Castello di Canossa

 

Castello di Canossa (linea d’aria da Medelana 65 km).

E' il castello di Matilde, non il paese.

 


 

Visto da Medelana

 

 

 

 

Una foto più ravvicinata tratta da Internet

 

 

TORNA AL MENU

 

 

 

Premessa

La scrittura un pò strana degli articoli che seguono è dovuta alla loro età.

Il Calindri è un testo molto conosciuto, ed è accreditato di maggiore credibilità, in particolare egli si recava di persona sui luoghi di cui parlava. Il Ruggeri invece riportava conoscenze più teoriche.

 

L'immagine qui riportata è l'illustrazione della chiesa di Venola tratta dal libro Chiese della Diocesi di Bologna ritratte e descritte.

cliccare sull'immagine per ingrandirla

 

 Serafino Calindri

Dizionario Corografico, Georgico, Orittologico, Storico della Italia

1783

 

VENOLA

Fuori di Porta Saragozza in una cima di monte alla sinistra del Reno 14 miglia dalla Città , e non 20, come con una slungata di penna hà segnato l'autore del Catalogo delle Comunità stampato dal Saffi.

Comune e Arcipretura composta da 282 Anime divise in 51 famiglie, e d'ognintorno confinata dalle parrocchie di Spertica­no, di Malfolle, di Montasico, di Luminasio s della Pieve di Panico. Alli parrocchiani appar­tiene il diritto di nominarne 1'Arciprete, ed il suo Santo titolare è S. Stefano. La sua Chiesa, è decente, ed i suoi Oratori esistenti nel suo territorio sono Santa Lucia del Caricatore, e S. Rocco di Piano di Venola. Molta Uva, moltissi­me Frutta, e rare Pesche, molte Noci e molte Castagne, molta Ghianda, molti Boschi a Le­gna, poco Fieno, non molto pascolo da molte terre a sodo, quantità di Carbone, pochissima Canape, non molta Seta, quattro misure dal Grano, e quattro da molti Marzatelli che vi si seminano, sono i prodotti di questo territorio. Chi proponesse di far divenire un fertile Orto un letto composto da grossi sassi fluviatili, affatto sterile, di un torrente nelle piene impetuoso così, che trascina e forza con le sue corrosioni a lavinarie addosso le pendici de' laterali monti da presso le loro cime al loro piede; direbbesi che esigge gl'averi di un Creso, e le forze di un Sovrano, ed in ultimo che dopo un infinito di­spendio altro non ricaverebbesi tutto al più che una Saliceta, o Pioppeta, od altro consimile co­modo; e se si chiamasse una flotta di Periti a consulto per eseguire un tale progetto, leggereb­bensi perizie esorbitanti capaci a scoraggire il più intrepido e coraggioso: e pure senza tanto dis­pendio, senza tanto apparato, senza trovarvi tan­te difficoltà una industriosa, ed ingegnosa agri­coltura, una indefessa pazienza di seguitare l'in­dole e la natura dell'impetuoso Torrente incoraggì ad intraprendere la esecuzione di un pro­getto all'apparenza così strano, e riuscì piena­mente con poco ed in corto tempo col mezzo di giudiziose colmate in ottenere ottimi pascoli, ed un vasto Orto capace di ogni più squisita sorte di Frutta e di erbe il defunto Notaro e cittadino bolognese Casimiro Nicolò Patrizio Minelli, e con lode lo và attualmente ampliando, e rendendo viepiù ubertoso il vivente suo figlio Giuseppe che buona parte dell'anno se ne stà al Piano di Venola nella sua vicina palazzina, imitando gl'uo­mini della età passata, che men portati alla mol­lezza di molti de' viventi, stavansene badando alla agricoltura e coltivazione de' loro fondi in campagna, sicuri di non degradare le proprie convenienze, e di fare acquisto non meno di mag­giori comodi necessari alla vita, che di una più salda e robusta complessione. Tartufole bianche al di fuori, di color fosco al di dentro, o rosse, e qualche volta ancor nere produce quello cre­toso territorio attraversato da elevati banchi di arena indurita a modo di tufo, ed in talun sito di durissimo scoglio, e da cumuli divisi in irre­golari quasi cubiche masse di scoglio cretoso, tra mezzo al quale van trovandosi gusci di Turbina­ti, di Lumache marine, di Pettinìti, di piccole Telline, e Nuclei di tali maniere di Testacei, qualche volta calcinati; due sorgenti solfuree lun­go il Torrente Venola, non poche ocree rosse, violacee, e verdiccie, ed una miniera di Ferro del genere delle subacquose. Un acqua leggerissima scaturisce da una sorgente nel fito detto il Caricatore, nelle di cui vicinanze naturalmente fiorisconvi Viole mammole odorosissime di color bianco candido, o qualche poco tirante al color rosso-viola. Un Sarto, un Falegname, un Fabbro posson supplire a qualche bisogno umano relati­vo alle loro arti per gli abitanti di questo territorio, nel quale evvi un borghetto cioè Lamaròlo di Famiglie 12.

Non molto distante dalla presente Chiesa parroc­chiale sulla vetta di un monte in un dirupo di scogli cretofi, che, quasi a piombo eretti, for­mano dalla parte di Reno la veduta di una scon­nessa muraglia etrusca, sonovi le rovine di una Torre, o antica Ròcca, che probabilmente do­vea essere l'antico Cartello di Venola, ed una delle molte Ròcche possedute da potenti Conti da Panico. La più antica memoria che abbiamo di quello luogo non và più indietro del 1221, da questa sappiamo che Vènola esisteva, che era un Cartello, e che fù confermato in feudo da Conrado Cancelliere imperiale in Italia per l'Imperatore ad Ugolino da Pànico, chiaro leggendosi nella pergamèna de Conti da Pànico di Padova più volte rammentata trà i luoghi al suddetto U­golino confermati VENOLA, hominibus d ejus curte. Può supporsi, che uno de' discendenti del detto Ugolino fosse quel Conte Tommaso da Pàni­co, che comprò del 1268 nel Comune di Vènola molti beni, per valore di lire 390, alcuni de' quali confinavano con quelli della parrocchiale di S. Stefano (Archivio di San Francesco). Uno de motivi pe' quali si dissipò la famiglia de' Panici fù la replicata sud­divisione de' loro beni e feudi per dare la provista non meno a figli nati da matrimoni legitti­mi, che a naturali, uno de' quali fù secondo il Griffoni decapitato nel 1304 per un ordito tradi­mento contro il Comune di Bologna, ma secon­do l'autore della Cronaca Miscella ciò seguì nel 1305 unitamente a due da Luminasio, e due da Vènola (Rer. Ital. Script. Tom. XVIII. col.135, 1306 avea egli nome Baldino Co. Bastardo da Pànico). Convien credere, che questi Pàni­ci di Vènola non fossero di molto buona legge, poichè nel 1313 nel piano di Vènola e ne con­tigui Flixino di Morsicino da Pànico, e Tozzòne di Pariano da Pànico si posero alla strada ad assal­tare e derubbare alcuni nel ritorno che facean dal mercato di Roveggio, i quali condusser prigio

ni in modenese, e a forza di farli tormenta­re in carcere, gl'obbligarono a ricattarsi con grossa taglia (Lib. Ref. + 20. Giugno 1313. Pag. 204 v.).

Fù nel 1528 questo Comune infeudato unitamente agli altri nominati nella no­ta (272) par. 3, pag. 279; da CLEMENTE VII con titolo di Contea ad Astorre di Alessàndro Vol­ta, al quale non fù dato nel 1522, ne tolto dal suddetto Papa ad esso Astorre nel 1532, come sulla fede del Dolfi rilevata dal passo della sua Cronologia in essa nota citato ivi asserimmo; e tra manoscritti del celebre Instituto può vederse­ne l'estratto del Breve del prelodato Pontefice. Apparteneva quesla Chiesa nel 1366 (e gl'ap­partenne fino al 1646) al plebanato di Pànico, ed era il suo titolare SS. Benedetto e Stefano; ma eretta in Pieve non solo fù smembrata questa da quel plebanato; mà altresì lo furono le Chiese di Montasico, di Vedegbèto, di Monte Pastore con la sua sussidiale di Vignola de' Conti, che compongono presentemente la sua Congregazione. Chi desidera sapere le notizie de' fondi, delle rendite etc. di questa Chiesa, di una Chiesa semplice di S. Antonio in questo Comune eretta, e di un Be­neficio semplice eretto nella parrocchiale li 18 Febbraio del 1693, ricorra alla Raccolta del Casolàri, Tom. 3 dalla pag. 363 alla 368.

 

 

Da: Chiese Parrocchiali della Diocesi di Bologna ritratte e descritte

Tomo terzo

Bologna Litografia di Enrico Corti

Tipografia di San Tommaso D’Aquino

1849

 

SANTO STEFANO DI VENOLA
Posa la villetta di Venola sul dorso di ridente colle, quindici miglia a meriggio da Bologna. È gramo paesello e numera pochi abitanti, ma il suo nome è caro agli amatori dell'agricoltura, poichè fu la città di un Casimiro Nicolò, e d'un Giuseppe Minelli, uomini generosi e sapienti, che imitarono le virtù ed il senno di Pier Crescenzi, facendo sacrificio della propria fortuna per migliorare le terre, e ridurle alla maggiore fertilità.

Sin da remoto tempo il comune di Venola trovasi memorato nelle storie, ma precisare l'epoca de' suoi primordii mal lo si potrebbe. In alcune cronache viene esaltato sin dall'undecimo secolo per la floridezza de' suoi vigneti, per la rarità delle sue frutta e per la vaghezza di sua posizione; ma noi prendendo a guida gli storici di maggior fama, diciamo con sicurità che le prime notizie di questo luogo si ricavano dall'imperiale diploma di Federico II, datato nell’anno 1221, mercè del quale Venola e suoi abitatori son confermati in feudo ad Ugolino conte di Panico. Dopo il tredicesimo secolo lo vediamo soggetto al Comune di Bologna come semplice massaria, ed ora lo troviam dipendente da quella giusdicenza, perchè aggregato al Municipio di Caprara, altra delle Magistrature comprese nel Felsineo distretto. Questo territorio e gli altri conterminanti dànno frumento ed ottimi vini; il granone si coltiva da pertutto, ed una delle maggiori sorgenti di lucro è il bestiame cornuto e pecorino. Il numero de' suoi abitatori è oggi di circa 370, la maggior parte occupati nella coltivazione delle terre, e quantunque la parte piana del territorio sia assai limitata, si gode in ogni punto di un clima temperato e di un aria eccellente. Venola è bagnata a levante dal fiume Reno, ed a meriggio da un grosso torrente, che ne rade minaccioso i campi ed i vigneti; è intermediata dalla nuova via che da Bologna conduce a Livorno, ed ha per confine le parrocchie di Sperticano, di Panico, di Montasico, di Malfolle e Luminasio. Anticamente la chiesa di Venola era sotto l’invocazione dei Ss. Stefano e Benedetto, e dipendeva dalla pieve di Panico. Tale era ancora la sua condizione quando nel 1378 si rinnovò il censimento delle parrocchie nella diocesi; e tale si conservò sino alla metà del secolo XVI. Ma la povertà della sua dote, e lo squallore del tempio fecero che per un intero decennio restasse vedova del parroco; per cui nel 30 Ottobre 1557 il Vescovo Giovanni Campeggi l'unì come semplice sussidiale alla cura di Luminasio, e rimase mezzo secolo circa in quest'umiliante posizione. Intanto i popolani si adoprarono con immensa possa onde risarcire la canonica, ed un pio sacerdote della cura si rassegnò ad assumerne il peso per ricondurla al grado di parrocchia. Difatti l'Arcivescovo Paleotti con decreto del 26 Gennaio 1606 le restituiva il suo titolo, rendendola affatto indipendente da Luminasio. Venuto a morte quel generoso sacerdote, il popolo, che aveva il diritto di presentare il paroco, gli elesse a successore un Don Gioan Antonio Barbetti, oriundo della stessa cura, il quale donò i suoi beni alla parrocchia prebenda e restaurò la chiesa coi proprii denari, levando il palco a travi e ponendola in volta. Tanto sagrificio di generosità non restò senza premio, perchè visitata la chiesa dal Cardinale Arcivescovo Nicolò Lodovisi Albergati, l’innalzò questi nel 5 Ottobre 1646 al grado di arcipretale e di plebana; quindi la segregò dall’antica matrice e le sottopose in perpetuo altre quattro parrocchie, vale a dire Montasico, Vedegheto, Vignola e Montepastore; accordò al benemerito paroco ed ai successori suoi il titolo di Vicario foraneo, e donò alla novella pieve il Fonte battesimale. Queste onorifiche distinzioni gode tuttora la chiesa di Venola, la quale, sempre di giuspatronato de' suoi popolani, celebra la festa principale in onore di Maria nella prima domenica di Agosto. Dopo il grande restauro del paroco Barbetti, la chiesa non venne più risarcita, per cui nel 1820 trovavasi con la canonica in cattivissimo stato. Volle però fortuna che vi fosse eletto arciprete il sacerdote Don Giovan Lorenzo Boni, il quale a proprie spese fabbricò la canonica, poi aiutato dai popolani alzò il volto alla chiesa e ne ribassò il pavimento, rendendola così di bella forma, e di una regolare architettura. L’edifizio è lungo 40 piedi, largo 18 ed alto 31, ed ha un organo con la sua cantoria di cinque cappelle, la maggiore delle quali dedicata a Santo Stefano, con quattro laterali più piccole, di cui una occupata dal battistero.

Nel circondario esistono due oratori, uno nel piano di Venola, dedicato a San Rocco, e spettante alla famiglia Minelli. L’altro dedicato a Santa Lucia nel luogo detto il Caricatore, appartenente alla famiglia Benassi. Le case sono sparse pel territorio e vi si contano due ville di delizia, con alcune civili abitazioni, che si distinguono assai bene dalle rustiche dimore dei contadini. Nulla poi qui rammenta l’antico caseggiato, né la ròcca ed il forte che Ugolino da Panico edificò sopra il colle nel 1203 per albergo del castellano e delle sue milizie. Ogni segno o vestigio sparì. Queste superbe moli che sembrava sfidassero la forza dei secoli, esistevano alla fine del 1306, ma sul cominciare del seguente anno furono dal popolo ammutinato leteralmente distrutte. Così si abbatterono le insegne della prepotenza, così cacciossi in bando la tirannia del feudalesimo.

Lo storico che narra un tal fatto, dice che gli abitanti, tribolati dalle avanìe di quei dominatori, insorsero uniti e disperati, e fecer bisogna per mille, che chiamarono alla riscossa i popolani di Montasico e di Malfolle, ma non furon soccorsi, che la tenzone fu perciò lunga, feroce e sanguinosa, ma non ricevendo i feudali alcun rinforzo d’armati, terminò col più felice successo, quello cioè di togliere il popolo da un’orribile oppressione, e di affrancarlo per sempre dall’odiata schiavitù.

Andava in quel mezzo ognor più dibassando la fortuna dei Panico, guerreggiati dal Comune di Bologna, il quale era sostenuto dai tanti nemici che s’erano procacciati, sì che Maghinardo ed il terribile Mostarda suo figlio finirono coll’esser chiusi in orribile prigione, ove il primo (privato della vista) stentò fino al finire dei suoi giorni, e l’altro ne fù tratto per aver mozzo il capo nel pubblico mercato della città.

Dott. Luigi Ruggeri  

 

 

 

Giorgio Pini, direttore del Resto del Carlino l'11 Ottobre 1944

 

 
Il ministro Bottai al centro, con alla sua sinistra Giorgio Pini Al centro il ministro nazista Ley. Alla sua sinistra Giorgio Pini in camicia nera e stivali  A sinistra: Vito Mussolini, direttore del Giornale d'Italia, del quale Pini fu Caporedattore. Al cenro Nicolò Giani, fondatore di "Mistica fascista". A destra Galeazzo Ciano

 

Nato il 1 Febbraio 1899 a Bologna Giorgio Pini ha frequentato la facoltà di legge. Si iscrisse al fascio nel 1920. Iniziò la carriera giornalistica nel giornale fascista di Bologna “L’Assalto”, fondato da Leandro Arpinati, del quale fu anche direttore. Nel 1923 iniziò ad entrare in contatto diretto con il Duce in qualità di inviato dell’Assalto. Mussolini prima di assumere la carica di primo ministro era stato direttore del “Popolo d’Italia”, giornale da lui stesso fondato, ed aveva sempre seguito con attenzione il giornale dei fascisti bolognesi, così quando Pini iniziò a scrivere i suoi articoli a sostegno dello squadrismo Mussolini lo individuò come una risorsa da coltivare.

Così nel 1925 fu invitato a scrivere anche per “Il Popolo d’Italia”, che era diretto da Arnaldo Mussolini. A fine Ottobre del 1926 fu improvvisamente nominato capo redattore del Resto del Carlino, pur rimanendo direttore dell’”Assalto”. A fine Aprile del 1927, per volere dello stesso Mussolini, fu nominato Direttore del “Resto del Carlino”. Il Duce aveva una grande fretta di fascistizzare tutta la stampa nazionale, e Pini aveva una carriera assicurata dalla sua cieca fede nel Duce.

 

Biografo di Mussolini

Nel 1926 Pini aveva scritto una biografia di Mussolini dal titolo: “Benito Mussolini : la sua vita fino ad oggi, dalla strada al potere”, e la sua ascesa gli aveva creato non pochi nemici, anche nella redazione del Resto del Carlino. D’altra parte il giornale stava perdendo lettori, ed anche Arpinati era scontento della direzione di Pini. Il 3 Marzo 1930 fu estromesso dal capo del fascio bolognese, e Mussolini lo assegnò alla direzione del “Giornale di Genova”

A Genova non ebbe vita facile, perché i giornali da lui diretti perdevano in tiratura, e c’era scontento per i suoi frequenti articoli pubblicati dal “Popolo d’Italia”. Rimase comunque a Genova fino alla fine del 1936, quando Vito Mussolini lo convocò a Milano per sostituire il vecchio caporedattore del “Popolo d’Italia”. Da quel momento ebbe contatti frequentissimi con il Duce, il quale evidentemente voleva imprimere sempre di più la sua personalità sul giornale di famiglia.

Pini continuò anche a lavorare come biografo personale di Mussolini, e nel 1939 uscì una nuova biografia dal titolo “Benito Mussolini” che fu anche tradotta in inglese da Luigi Villari col titolo: The Official Life on Benito Mussolini.

 

Direttore del Resto del Carlino dopo il 25 Luglio 1943

Il 25 Luglio 1943, quando Mussolini fu estromesso ed arrestato, ed al suo posto andò il Maresciallo Badoglio. Da quel giorno al “Giornale d’Italia” fu proibita la pubblicazione. Dal 25 Luglio all’armistizio, poi la liberazione di Mussolini da parte dei Tedeschi. A Metà Settembre Pini fu chiamato a Bologna per dirigere il Resto del Carlino, che dal 25 Luglio era passato alla direzione di un liberale. Arrivato in redazione si dichiarò subito “fascista repubblicano”, come lui stesso racconta nel libro “itinerario tragico”, pubblicato nel 1950 da Omnia, Milano.

Con la RSI il Resto del Carlino assunse la connotazione di bollettino nazifascista. Nulla trapelava dalle pagine del giornale che non fossero elogi alle vittorie ed alle conquiste della Germania. Per Pini evidentemente brillavano ora due stelle: il Duce, e la Germania. Ma soprattutto la Germania. Nei titoli del giornale da Ottobre 1943 a Aprile 1945 le vittorie ed i successi della Germania sono quasi una costante.

Pini era stato scelto come direttore del resto del Carlino perché di lui il Duce poteva fidarsi.

I titoli rimasero sempre gli stessi fino all’Aprile del 1945.

Mai il Carlino diede notizie circostanziate di quanto stava succedendo in Italia, con l’avanzata degli alleati che inesorabilmente stavano spazzando via il fascismo dall’Italia. Fino all’ultimo giorno il direttore Pini volle concentrare l’attenzione su ciò che succedeva lontano dall’Italia, nel fronte orientale, dove l’avanzata sovietica a leggere il Carlino sembrava inesistente.

Il 20 Aprile il Resto del Carlino chiuse i battenti. Pini fuggì a Milano, e dal 21 Aprile iniziò la pubblicazione “Il Corriere dell’Emilia”, poi rinominato “Giornale dell’Emilia”, che prese il posto del Carlino fino al 1953.

 

Pini rimase fascista anche dopo la liberazione

Nel 1950 Pini era un fervente membro del MSI, e non aveva abbandonato la fede. Non è facile capire cosa potesse essersi radicato così fortemente nella sua mente per farlo restare aggrappato alla propria giovinezza, ed alle speranze di una grandezza che credo chiunque, nel 1950, poteva vedere quanto fosse stata illusoria ed effimera, ma soprattutto ingiusta e malefica.

 

 

Itinerario Tragico

Nel libro “Itinerario Tragico” - Milano, Ed (1 gennaio 1950), a proposito di Marzabotto Pini afferma:

“A. Marzabotto una divisione tedesca procedette a una terribile rappresaglia per reagire ai continui disturbi provocati nelle retrovie dagli elementi partigiani. Di quella strage, nonostante la prossimità del luogo, giunsero a Bologna notizie estremamente incerte.”

In realtà sappiamo che il Prefetto Fantozzi aveva tutte le notizie fin dal 2 Ottobre. Don Fornasini, dopo avere informato il segretario comunale di Marzabotto Rag. Agostino Grava, si era recato a Bologna a denunciare alle autorità religiose quanto stava succedendo. Il viceprefetto De Vita sapeva, e il prefetto Fantozzi affermava, in un rapporto per l’investigatore Galli dopo la liberazione, di essersi recato assieme al Podestà Ing. Agnoli presso gli sfollati per raccogliere testimonianze.

D’altra parte la dimostrazione che Pini mente in questo caso viene dalla pagina stessa del Carlino dell’11 Ottobre 1944, dove ben due articoli sono dedicati a smentire le voci che sono circolate in città. Radio Londra aveva dato una dettagliata notizia di quanto era accaduto a Marzabotto già il 6 Ottobre, e molti sfollati avevano vissuto direttamente gli eventi. Ecco quindi il famigerato articolo delle “solite voci incontrollate”, accanto al quale vi è una ossequiosa informazione circa la presenza in città di von Halem, ed accanto a questa vi è un articolo ben più dettagliato che riporta la posizione del Prefetto Fantozzi sul tema.

Quindi di nuovo la domanda è: perché tanto sforzo per smentire una notizia che a dire di Pini non era arrivata in città?

 

 

La pagina del Carlino dell'11 Ottobre 1944 con i 3 articoli citati

 

Ecco qui il testo integrale dei 3 articoli:

Voci inconsistenti - 

Le solite voci incontrollate, prodotto tipico di galoppanti fantasie in tempo di guerra, assicuravano fino a ieri che nel corso di una operazione di polizia contro una banda di fuori-legge, ben centocinquanta fra donne, vecchi e bambini erano stati fucilati da truppe germaniche di rastrellamento nel comune di Marzabotto.

Siamo in grado di smentire queste macabre voci e il fatto da esse propalato. Alla smentita , ufficiale si aggiunge la constatazione compiuta durante un apposito sopraluogo. E' vero che nella zona di Marzabotto è stata eseguita una operazione di polizia contro un nucleo di ribelli il quale ha subìto forti perdite anche nelle persone di pericolosi capibanda, ma fortunatamente non è affatto vero che il rastrellamento abbia prodotto la decimazione e íl sacrificio nientemeno che di

centocinquanta elementi civili. Siamo, dunque, di fronte a una nuova manovra dei soliti incoscienti destinata a cadere nel ridicolo, perché chiunque avesse voluto interpellare un qualsiasi onesto abitante' di Marzabotto o, quanto meno, qualche persona reduce da quei luoghi, avrebbe appreso l'autentica versione dei fatti.

 

Il barone von Halem a Bologna

Riunioni e colloqui con le autorità

Il Console generale di Germania, barone von Halem, che ha sede in Milano, e che già l'anno scorso prese contatto con le nostre autorità, è tornato da alcuni giorni a Bologna e si è attivamente interessato della situazione locale in rapporto alla situazione bellica.

Von Halem ha avuto colloqui coi dirigenti politici, militari e amministrativi, ed ha partecipato a diverse riunioni in cui sono stati prospettati i principali problemi e definite le direttive opportune per assicurare la maggiore possibile normalità di vita e il funzionamento dei pubblici servizi nell'interesse della popolazione.

 

La situazione della città illustrata dal Capo della provincia

Per la normale attività cittadina – le valorose truppe germaniche eviteranno ulteriori rovine a Bologna – Precisazione sui rastrellamenti.

Lunedì nel pomeriggio il Capo provincia ha convocato I dirigenti, di tutte le organizzazioni e di tutte le attività a carattere sindacale ed a­ziendale.

Il Capo provincia ha par­lato brevemente ai convenuti illustrando sinteticamente l'o­dierna situazione di Bologna e della provincia in relazione alle eccezionali contingenze belliche. Egli ha fatto rilevare che, malgrado le difficoltà enormi del momento, la vita di Bologna e della provincia, specialmente nel settore ali­mentare, nei servizi pubblici e nelle sue più urgenti necessità, ha continuato a man­ tenere, nei limiti consentiti i delle difficoltà inerenti alla vicinanza del fronte ed alla mancanza di adeguati mezzi di trasporto e di comunica­zione, un ritmo quasi normale. A questo punto ha fatto un vivo elogio al vari dirigenti che si sono prodigati, con spi­rito di patriottismo, ognuno nel suo settore, per ovviare alle difficoltà del momento. Ha detto che oggi, più che mai, le autorità e i dirigenti, in perfetto spirito di collaborazione, devono intensificare i loro sforzo e la loro opera ed adoprarsi, con accresciuta abnegazione, acciocchè alla popolazione di Bologna e della provincia, già duramente provata dai rigori della guerra e della barbarie nemica, sia risparmiato il caos e il disordine e possa continuare ad avere, anche in momenti eccezzionalissimi, quel conforto materiale e quella assistenza avuta sempre per il passato da parte delle autorità e de dirigenti tutti.

Il Capo provincia ha letto inoltre, un telegramma invia­to al Duce nel quale si fa presente che mentre il rombo del cannone si avvicina alla città, i suoi dirigenti sono ai loro posti di lavoro e di responsabilità decisi a compiere serenamente, sino all'ultimo, il lavoro e i compiti ad essi affidati per alleviare le sofferenze, í disagi, i dolori del­la popolazione.

Ha esortato tutti a non prestare fede alla pletoria di voci false e tendenziose messe in circolazione in questi giorni da elementi al soldo del nemico e di fare opera di persuasione presso i rispettivi dipendenti perché il lavoro non abbia arresti nocivi e continui a svolgersi normalmente per la tranquillità ed il bene comuni.

Ha detto, inoltre, che le Autorità militari germaniche, con quello spirito cavalleresco e di comprensione che ha sempre animato i nostri alleati, hanno confermatoche Bologna sarà da loro rispettata e le valorose truppe tedesche eviteranno che ulteriori rovine vengano inflitte alla città già tanto provata.

Il Capo provincia ha anche dichiarato che tra le notizie fatte circolare in questi gior­ni vi è quella di una probabi­le mancanza dì acqua, gas, elettricità ed ha aggiunto che non saranno certamente i soldati tedeschi ad infierire con­tro la popolazione civile ita­liana privandola del neces­sario.

Parlando dei recenti rastrellamenti ha reso noto che que­sti sono stati effettuati per urgenti necessità di lavoro. Ha aggiunto che gli italiani reclutati a Bologna o in pro­vincia per tali necessità contingenti non vanno lontano e sono trattati bene.

Infine ha invitato tutti i dirigenti ad esporre i loro punti di vista per una fattiva colla­borazione ed ha concluso con l’esortazione a lavorare e spe­rare con immutata fede per il bene la salvezza della Pa­ria che non può perire e che risorgerà, con l’aiuto dei ca­merati tedeschi e per volontà dei suoi figli minori.

 

 

Tre articoli collegati fra loro per dare ufficialità e credibilità alla smentita

Si deve notare che i tre articoli sono collegati, perché in sostanza l’articolo riferito al capo della provincia avvalora indirettamente quello molto più diretto che smentisce la strage di Marzabotto. Quello apparentemente innocuo sulla presenza di von Halem ha a mio parere lo scopo di informare i funzionari del regime, che in qualche modo sanno di ciò che è avvenuto a Marzabotto, che le autorità tedesche stanno prendendo provvedimenti per arrestare il dilagare di pratiche terroristiche fra la popolazione inerme.

 

 

Intervista a Pini di Nazario Sauro Onofri

A pagina 25 del libro "Marzabotto non dimentica Walter Reder", di Nazario Sauro Onofri (grafica lavino editrice 1985), scrive l’autore:

Molti anni dopo, quando chiesi a Giorgio Pini - che era stato direttore del giornale in quel periodo - il perché di quel trafiletto, mi disse che, su richiesta di Fantozzi, aveva assunto informazioni presso

ambienti tedeschi, compreso il suo vecchio amico von Halem. Quando questi gli diede la versione menzognera che aveva già fornito al prefetto, incarico un redattore di scrivere il trafiletto famigerato che avrebbe dovuto tranquillizzare la popolazione.

Oggi - mi disse Pini - il contrasto tra quel comunicato e la realtà, che si è saputa poi, è tale che la cosa mi mette a disagio.

A disagio, per quella strage, dovettero trovarsi in molti, sia tra i tedeschi che tra i fascisti, anche se poi non ebbero il coraggio morale e civile di dissociarsi, neppure nel dopoguerra quando non correvano più alcun pericolo.

Dollmann ha dedicato un libro al suo soggiorno italiano, “Roma nazista”, nel quale vi e un capitolo intitolato “Terrore nel nord”, ma non ha scritto una sola riga su Marzabotto. E lui, come ufficiale superiore delle SS e come membro della delegazione che rassicuro Fantozzi, doveva sapere molto .sulla strage, se non è addirittura uno dei responsabili. il generale von Senger - uno junker tedesco, nobile e cattolico praticante - ha scritto un libro di memorie dal titolo vagamente romantico:

“Combattere senza paura e senza speranza. Anche se arrivò a Bologna a cose fatte, nel libro non c'è il minimo riferimento alla strage e nessuna parola di cristiana pietà per le vittime. Anche

lui, come Dollmann, ha preferito fare opera di rimozione; si è limitato a scrivere che assunse il comando della 14^ armata il 15 ottobre quando il suo predecessore ebbe un attacco di sinusite.

Mario Agnoli, che fu podestà fascista durante la repubblichina di Salo, dedica poche righe a Marzabotto nel libro di memorie “Bologna città aperta”. Ha scritto che quando vide entrare nella sede comunale una donna profuga da Marzabotto, con un figlioletto in braccio, convenne con se stesso “come fosse stato inumano usare una così feroce rappresaglia verso vittime innocenti: donne, bambini, vecchi, sacerdoti”.

Non molto per un crimine cosi infame.

Sottocategorie

   

Lista articoli  

   
© ALLROUNDER